Hannah arendt 

Hannah Arendt ed Ernesto Grassi parlano di Heidegger

Hannah Arendt
pensare senza parapetti

Vi posto l'intervista a Ernesto Grassi che Giorgio ci ha copiato nei commenti.
Io sto leggendo l'epistolario tra Hannah Arendt e Martin Heidegger che va dal 1925 alla morte di Hannah (Heidegger morirà pochi mesi dopo),  Edizioni Comunità, è un epistolario veramnte bello e intelligente, sto vedendo il filosofo in una luce più umana, mi riesce difficile vederlo come ci viene invece descritto di solito, anche in questo articolo.
C'è qualcosa che non mi torna. Che Heidegger fosse nazionalista è indiscutibile come indiscutibile è che si sia impelagato per dieci mesi con il nazismo (forse anche dietro spinta della moglie). Heidegger non è mai stato un un grande uomo coraggioso, però, detto questo, è stato e rimane uno dei più grandi pensatori della modernità, e forse incomincia ad essere veramente comprensibile solo ora. Va quindi letto cercando di prendere il nucleo più moderno, lasciandosi dietro la parte di pensiero eventualmente legata al contingente, se lo ha fatto Hannah Arendt lo possiamo fare anche noi. E ha ragione Sollers a dire che se continuiamo a leggerlo come se fosse un nazista faremo pochi passi avanti.
Heidegger ha fatto una operazione grandiosa, ha distrutto la metafisica senza lasciare un vuoto al suo posto. Capisco che Grassi non fosse del tutto in grado di apprezzare completamente la cosa anche se, come tutti gli allievi, ne intuì ugualmente la grandezza.
Scrive Hannah Arendt a Martin Heidegger il 12 marzo 1970 mentre sta leggendo Tempo ed Essere: «Sto continuando a rileggere Tempo ed Essere, soprattutto il saggio su La fine della filosofia e il compito del pensiero. Questa è naturalmente anche la fine del positivismo e dei molti tentativi neo-positivistici. Già da parecchi anni - da quando lessi l'Introduzione alla metafisica - sono convinta che tu, con il tuo pensare-alla-fine della metafisica e della filosofia, hai creato veramente lo spazio per il pensiero -senza parapetto1, forse anche senza astrazioni, ma in libertà»
E nel 1968, per gli ottanta anni di Heidegger, aveva detto in un discorso radiofonico registrato a New York il 25 settembre: «Forse proprio lui [Platone] si è reso conto del fatto che la dimora del pensatore, vista dall'esterno, somiglia  facilmente al mondo delle nuvole di Aristofane, In ogni caso sapeva che il pensiero, quando vuole portare al mercato il suo pensato, è incapace di difendersi dal riso degli altri; e può essere questo, tra l'altro ad averlo spinto, già in età avanzata, a mettersi in viaggio per tre volte alla volta della Sicilia, per andare in aiuto del tiranno di Siracusa [...]. Tutti sappiamo che anche Heidegger una volta ha ceduto alla tentazione di cambiare la sua "dimora" e di "intervenire", come allora si disse, nel mondo delle faccende umane: E per quanto riguarda il mondo, gli è andata anche un po' peggio che a Platone, perchè il tiranno e le sue vittime si trovavano non oltre il mare, ma nel suo paese [...] Noi che vogliamo rendere onore ai pensatori, anche se la nostra dimora si trova in mezzo al mondo, difficilmente possiamo fare a meno di trovare sorprendente e forse increscioso che Platone come Heidegger, la volta in cui si sono impegnati nelle faccende umane, si siano rivolti a tiranni o a Führer. Ciò potrebbe essere dovuto non soltanto alle circostanze del momento, e ancor meno a un carattere già formato, ma piuttosto a quella che i francesi chiamano dèformation professionelle. Infatti l'inclinazione alla tirannide può essere dimostrata teoricamente in quasi tutti i grandi pensatori (Kant rappresenta la grande eccezione)».

Note:
1) Denken ohne Geländer (pensare senza parapetti) è una bellissima massima arendtiana.

Caso Heidegger / Un retroscena italiano
Si Stampi, disse il duce.
Intervista con Ernesto Grassi

di Maurizio Bono 

Quella sera di primavera, nella prima settimana di maggio del 1933, di fronte all'università di Friburgo avanzava un carro tirato da buoi. Sopra, ammassati alla rinfusa, più di mille volumi proibiti, bottino del saccheggio nelle librerie della città. Di lì a pochi minuti sarebbero finiti in un grande falò, passati di mano in mano tra gli schiamazzi i "Sieg Heil" degli studenti nazisti, entusiasticamente impegnati nella Kampfbund fur deutsche Kultur, la battaglia a favore della cultura tedesca proclamata dal dottor Goebbels. "Ricordo quell'autodafè come se fosse successo ieri. E ricordo bene l'impassibilità indifferente di Martin Heidegger, all'epoca rettore dell'ateneo friburghese".

Arendt - Heidegger
l’abisso della nostalgia
nella quarta dimensione della vicinanza

Hannah Arendt intorno al 1925

Hannah Arendt intorno al 1925
Hannah Arendt 1928
Hannah Arendt 1928

60. Martin Heidegger ad Hannah Arendt

Meβkirch, 4 maggio 1950

Hannah,
ti saluto dalla “spiacevole distanza d tremila miglia”; il che ermeneuticamente significa l’abisso della nostalgia. Eppure ogni giorno sono felice che le cose siano così come sono. Ma molto spesso mi piacerebbe passare il pettine a cinque denti tra i tuoi capelli crespi, soprattutto quando la tua cara foto* mi guarda dritto al cuore. Tu non sai che è lo stesso sguardo che brillava rivolto a me sulla cattedra –ah, era, è e rimane l’eternità, da lontano nella vicinanza. Tutto doveva riposare per un quarto di secolo come un chicco di grano nel solco profondo di un campo, riposare in una maturazione dell’assoluto; perché tutto il dolore e le molteplici esperienza si sono raccolte nel tuo stesso sguardo, la cui luce si riflette sul volto e fa apparire la donna.
Nell’immagine della dea greca c’è questo di misterioso: nella fanciulla è nascosta la donna, nella donna, la fanciulla. E il peculiare è:questo stesso occultarsi nel diradarsi . Questo è avvenuto nei giorni della Sonata sonans1. Tutto ciò che è precedente in ciò è stato salvaguardato.
Il 2 di marzo, quando sei tornata qui, è accaduto “il centro”, che ha portato il già stato in ciò che dura. Il tempo si è raccolto nella quarta dimensione della vicinanza, come se noi dovessimo arrivare direttamente dall’eternità, e poi ritornarci. Ti chiedevi se fosse realmente così: Oh, anche l’essere era oltrepassato. Ma, mia intimissima amica, devi saperlo: “Pensosamente e teneramente”2 – niente è dimenticato, ma è proprio il contrario – tutto il tuo dolore scarsamente considerato, e tutte le mie mancanze, senza volerle dissimulare, risuonavano da un lungo scampanio della campana del mondo dei nostri cuori. Risuonava nell’aurora, che, nei giorni seguenti, ha fatto emergere  per noi quel periodo ora lontano dell’appartenenza. Tu –Hannah –tu.
Tuo Martin.


Note

1) Cfr. il successivo ciclo poetico Dalla Sonata sonans, [che sono poesie di Heidegger dedicate e inviate a Hannah Arendt e che sono riportate nell’epistolario, 61 e 63. n. di georgia]
2) Pensosamente e teneramente è il titolo di una delle poesie in Dalla Sonata sonans.
In H. Arendt, M. Heidegger, Lettere 1925- 1975, Edizioni Comunità, Torino 2001, p. 71

Nota di georgia

* la foto probabilmente è una di quelle di cui parla nella lettera 39 del 19 febbraio 1928 :”
” (in H, Arendt, M.Heidegger, Lettere, cit. pp. 44-45)

Essere e tempo
Martin Heidegger e la moglie Elfride

«La questione del tempo è essenziale. Se si continua
a impedire di leggere Heidegger trattandolo da nazista
non avremo fatto neanche un passo nella direzione del problema
»
 Philippe Sollers, intervistato da  Marco Dotti,
Dopo Tel Quel, in Il Manifesto, 3 luglio 2005, p. 12

Ultimamente non si fa che parlare di Essere e tempo per via di alcune nuove traduzioni e pubblicazioni.
Vi posto un articolo uscito ieri su La Repubblica e approfitto per riportarvi anche una piccola curiosità che mi ha colpito l'altro giorno, leggendo l'epistolario dell'egoista e cinico Heidegger e della sua geniale allieva e amante Hannah Arendt.
Una lettera della moglie di Heidegger a Hannh Arendt, del 1969, in cui le chiede di aiutarli per cercare un compratore per il manoscritto originale di Essere e tempo. 
Potete vedere QUI un video tedesco su Martin Heidegger (io purtroppo non so il tedesco) (georgia) 

Scrive Elfride Heidegger (moglie di Martin) ad Hannah Arendt, 20 aprile 1969.
Cara Hannah
Oggi sono io a scriverti per chiederti un favore: dopo una terribile influenza ci siamo recentemente decisi a lasciare la nostra grande casa a due piani e costruire, su un pezzo del nostro giardino retrostante, una piccola abitazione su un piano solo, con una uscita al pian terreno verso il giardino. Essa verrebbe a costare circa 80.000- 100.000 marchi, che noi naturalmente non abbiamo. Ma abbiamo cose di valore. Martin mi ha appena mostrato il manoscritto originale di Essere e tempo. Dato che però non capiamo nulla di denaro, non abbiamo la pù pallida idea del possibile valore di questo manoscritto, nè tantomeno sappiamo a chi lo si potrebbe eventualmente offrire per venderlo. Glenn e Ursula Gray, con cui ne abbiamo parlato ieri pensavano di rivolgersi a te; ma preferisco farlo io stessa con questa lettera. Ti prego di trattare tutta la faccenda con la massima discrezione: Ti saremmo grati di una risposta veloce.
Per il resto adesso stiamo di nuovo bene, come spero anche tu e tuo marito.
Ti salutiamo affettuosamente.
Elfride
Martin
Martin aggiunge:
si può mettere in vendita anche il manoscritto dei corsi su Nietzsche
In H.Arendt, M.Heidegger, Lettere 1995-1975, Edizioni di
Comunità, Torino 2001, pp. 131-132.


A trent'anni dalla sua morte escono due edizioni di "Essere e tempo"
IL SECOLO DI HEIDEGGER

Come leggere oggi un'opera che mette l'uomo davanti alla sua desolazione.
Il suo capolavoro uscì nel 1927 e fu come se la filosofia mutasse segno.
Provò a riconsegnare il pensiero alla sua originale grandezza che la metafisica aveva oscurato.
Gli orrori che abbiamo vissuto nel '900, a cominciare dal nazismo, sono qui anticipati.

di ANTONIO GNOLI

La domanda è semplice, diretta, se volete, perfino ingenua: perché Martin Heidegger ha avuto e continua ad avere successo? La parola successo può trarre in inganno. Rinvia alla moda con cui spesso si insegue un autore, lo si difende, lo si ama, ci si immedesima in lui, ci si cala nel sue movenze linguistiche. Il successo di Heidegger ci sembra nascere sotto un segno diverso, un segno così forte e marcato da aver neutralizzato l´ampia schiera di detrattori che nel suo pensiero ha percepito soltanto una fumosa e astrusa costruzione filosofica.
In realtà, pensare oscuramente non sempre significa non pensare affatto. A volte gli attriti concettuali, i problemi linguistici che ci si ergono di fronte, gli enigmi nei quali ci imbattiamo non sono il suono di parole vuote, ma rimandano a una difficoltà più generale che riguarda il modo in cui la filosofia può ancora affrontare il problema della verità. Heidegger non era diverso da tutti i grandi filosofi che lo hanno preceduto. Anche lui si è calato nel problema dei problemi: come dire la verità? Come trovarla? Come trasmetterla?
A trent´anni dalla morte e a quasi ottanta dalla pubblicazione di Essere e tempo, si continua a discutere di lui e della sua filosofia. Lo si fa, crediamo, non perché si continua a subire stancamente la sua influenza stregonesca (la quale in ogni caso ha un posto non irrilevante a giudicare dal fascino indiscusso che ha esercitato sui suoi allievi), ma in quanto Heidegger è il luogo concettuale in cui il Novecento diviene qualcosa di paradossale e, starei per dire, di unico.
A rilanciarne l´attenzione vi è la recente doppia edizione di Essere e tempo, a detta di quasi tutti, compresi gli avversari, il suo capolavoro filosofico. L´opera uscì nel 1927 con una dedica al suo maestro Edmund Husserl. Dettaglio non irrilevante: nella quinta edizione del 1941 la dedica verrà cassata. I detrattori videro nella scelta di cancellare l´omaggio al maestro ebreo, il segno eloquente della codardia di Heidegger. Il quale si difese osservando che era quello il solo modo di ristampare l´opera. Questione annosa e furente quella del nazismo di Heidegger. Vedremo se c´è un modo per dirimerla.
In Italia Essere e tempo uscirà nel 1953 per i Fratelli Bocca in una edizione curata da Pietro Chiodi. Personaggio straordinario, partigiano, un po´ marxista e un po´ esistenzialista, Chiodi che era un professore di liceo di Alba, rielaborò la sua traduzione che apparve in una nuova edizione, prima nel 1969 per la Utet e poi nel 1970 per Longanesi. A distanza di 35 anni Longanesi ripropone una nuova edizione di Essere e tempo (pagg. 632, euro 28), a cura di Franco Volpi; e Mondadori a sua volta pubblica un Meridiano (pagg. 1.550, euro 49) che oltre ad avvalersi di una nuova traduzione fatta da Alfredo Marini, comprende il testo tedesco a fronte.
Potremo dire che delle due edizioni la prima è conservativa, nel senso che conserva e adegua in parte il linguaggio usato da Chiodi (che è poi quello invalso nel dibattito su Heidegger); la seconda è innovativa: si distacca da Chiodi, e ne modifica a volte radicalmente la terminologia. Entrambe le edizioni si avvalgono di un glossario. Più esplicativo il lessico di Volpi, più rispettoso, al limite del collage, quello di Marini. Il quale, oltre a un breve introduzione in cui esamina la struttura dell´opera, offre un lunga postfazione su cosa ha significato tradurre Sein und zeit. Il saggio è alto e interessante, ma qualche sforbiciata gli avrebbe giovato.
Essere e tempo si articola in due parti, cui avrebbe dovuto fare seguito una terza mai realmente realizzata da Heidegger. Alcuni interpreti hanno visto in questa incompiutezza il fallimento speculativo di Heidegger. Altri hanno parlato di "svolta", intendendo con ciò che i problemi posti dal capolavoro del ´27 potevano trovare una soluzione fuori dall´orizzonte linguistico delimitato dal libro stesso. Più precisamente in un Heidegger, come del resto lui stesso auspicava, che andasse oltre l´analitica esistenziale. Ecco il punto, la parola magica da cui partire, per capire che cosa egli ci consegna con la sua opera tardo giovanile.

Il lettore che non si lasciasse respingere al primo assalto troverebbe in quest´opera qualcosa di sistematicamente selvaggio: c´è un´attenzione spasmodica ai fatti, al mondo degli enti, e c´è un modo di dirli che si avvale di un linguaggio in parte almeno radicalmente nuovo. Heidegger, che ha 38 anni, ha letto e studiato tutto. In Essere e tempo si rifonde la filosofia greca, quella presocratica, platonica, aristotelica. Ci sono San Paolo, Tommaso e Agostino (nel linguaggio heideggeriano serpeggia sovente quello teologico), c´è la logica medievale. C´è naturalmente il Novecento: la sociologia guglielmina (Simmel, Weber, Sombart), c´è la teologia negativa di Karl Barth, c´è lo storicismo di Dilthey, riecheggiano perfino L´anima e le forme e Storia e coscienza di classe di Lukács. Ma tutto questo lungo elenco di autori e di letture fatte compare come un trasparente distillato nella sua opera. Come una stimmung, uno stato d´animo, con la quale il filosofo avvolge la sua opera.
In Essere e tempo tutto è degno di analisi. Ma dire "degno" non implica agli occhi di Heidegger nessuna scelta morale, nessun giudizio etico. Il territorio sul quale egli agisce è senza effettiva giurisdizione. Privo di reali gerarchie, destituito di principi guida. Solo a patto di una radicale trasformazione del tableau filosofico, è possibile riconsegnare al pensiero la sua funzione originaria che la metafisica aveva dimenticato.
Molte pagine di Essere e tempo hanno la forza suggestiva di mostrarci l´uomo nella sua gettatezza. La caduta di questo ente (Heidegger preferirà la parola "esserci" a "uomo" e parla di deiezione), non ha nulla a che vedere con la perdita dello stato d´innocenza, con il peccato originale, con il paradiso. Perché questo vorrebbe dire presupporre che esista una verità e una origine che si situino all´esterno della temporalità e del mondo nei quali l´esserci è gettato. Invece noi, enti tra gli enti, e tuttavia in grado di interrogarci, siamo immersi nella quotidianità, nella chiacchiera, nella dittatura del "si". Questa condizione opaca e inautentica non è vista da Heidegger in modo spregiativo. È una modalità dell´esistenza.
Dopotutto anche Platone, con il mito della caverna, aveva raccontato la condizione inautentica e illusoria degli uomini incatenati e condannati all´apparenza fino a quando non fossero usciti dalla caverna. Ma è questo uscire che Heidegger mette radicalmente in discussione. L´idea che la verità possa rappresentarsi come astrazione suprema. Che si possa interrogare l´Essere come fosse davvero qualcosa di estraneo a noi, è il peccato mortale della metafisica. Il suo distacco dal pensiero originario.
Ma allora, come darsi la verità? Come evadere dall´inautentico, dalla chiacchiera, dall´opacità? Essere e tempo non fornirà risposte eloquenti. Qui farà la sua apparizione il termine lichtung (Volpi lo traduce con "radura", Marini con "chiarità") con il quale Heidegger ci suggerisce che la verità non va cercata (come invece accade nel mito della caverna), perché la verità non è rappresentabile. Essa si può solo esperire nella lichtung, quando essa ci viene incontro. Si dirà: ma come è possibile per un esserci incatenato all´inautentico aprirsi alla radura luminosa? La seconda parte di Essere e tempo esplorerà i temi dell´angoscia - distinta dalla paura - e della cura, attraverso i quali l´uomo potrà divincolarsi dalla condizione di opacità in cui vive.

L´esistenzialismo, in particolare quello francese, ha cercato di far proprio questo impianto. Heidegger che lo riteneva insufficiente, demolì gli equivoci con cui soprattutto Sartre aveva fondato la sua filosofia. Ma in questo modo bruciava anche Essere e tempo?
C´è una questione politica con cui si può abbozzare una risposta. È nota l´adesione di Heidegger al nazismo. In genere la si è letta come la riprovevole sottomissione a un tiranno senza eguali nella storia. Il che può anche essere. Ma chi apra Essere e tempo vedrà che parte dell´analitica esistenziale è una sorta di attraversamento della politica. Siamo esseri gettati. Ma in quanto enti il nostro movimento va verso la politica. Quale politica? Per Heidegger la sola possibile e in grado di rompere con gli schemi della rappresentanza era quella incarnata nel destino di un popolo. Che quel destino prendesse sei anni dopo la forma del nazismo è fortemente deprecabile e non sarà senza conseguenze per il filosofo. Ma il punto è anche un altro.
Essere e tempo è un movimento a fari spenti verso gli orrori destinali del Novecento. Un secolo che ha cercato l´autentico e l´uomo nuovo e li ha grottescamente trovati nelle grandi esperienze totalitarie. Tali esperienze sono solo il nostro passato? L´idea che una politica, impolitica, possa ancora immaginare quel destino, quella comunità, quella piazza, è un residuo che continua a vivere nel lessico delle nostre emozioni. Come una minaccia sopravvive nelle vesti risorgenti dell´uomo del destino che si fa voce del popolo, decisione, volontà generale, corpo (magari mediatico) di una nazione in cerca di identità. Lo snodo inquietante di Essere e tempo è nel passaggio enigmatico dall´inautentico all´autentico. Passaggio rischioso E non è detto che un Dio ci farà da ponte.

La Repubblica, 29 maggio 2006, p.45