Ebraismo 

 

Su Liberazione di oggi un interessante stralcio del saggio giovanile di Hannah Arendt, che sta uscendo in libreria, Illuminismo e questione ebraica, Cronopio, 2009, pp, 40, euro 5,00.


Ad ogni modo lo scritto, non è del tutto inedito (come recita la prima pagina di Liberazione)  neppure in Italia, era uscito sulla rivista
Il Mulino, nel n. 3, maggio-giugno, 1986, pp.   421-437

 

 

La moderna questione ebraica nasce nell'illuminismo; è l'illuminismo, cioè il mondo non ebraico, che l'ha posta

La moderna questione ebraica nasce nell'illuminismo; è l'illuminismo, cioè il mondo non ebraico, che l'ha posta. I modi in cui è stata formulata e le risposte che essa ha avuto hanno determinato il comportamento degli ebrei, hanno determinato la loro assimilazione. Nella discussione sull'emancipazione ritornano continuamente gli argomenti che hanno avuto in Lessing il massimo rappresentante. A lui si devono la diffusione di concetti come umanità e tolleranza, come pure la distinzione fra verità di ragione e verità storiche. [...] Nell'illuminismo la verità si perde o, meglio, nessuno la vuole più. Più importante della verità è l'uomo che la cerca: "Il valore dell'uomo non sta nella verità che qualcuno possiede... ma nel sincero sforzo che egli ha compiuto per raggiungere la verità". L'uomo diventa più importante della verità e la verità è relativizzata a favore del "valore dell'uomo". [...] Se ciò che veramente conta sono l'incessante ricerca della verità e "l'ampliamento delle capacità", allora per chi è tollerante, cioè per chi è veramente umano, tutte le confessioni sono solo le diverse denominazioni del medesimo uomo. [...]

 


Hannah Arendt
la lingua madre
hannah arendt durante l'intervista di gunter gaus 24 ottobre 1964


Leggendo le riflessioni di Darwish sulla lingua mi è subito tornata alla mente Hannah Arendt e a quello che aveva detto, sulla lingua madre, in una meravigliosa intervista di Gunter Gaus.
Prima di riportarvi il pezzo dell’intervista vi segnalo anche due miei vecchi post Hannah Arendt im Gespraech mit Gaus, e Hanna Arendt in cui trovate anche il link a Carmilla che aveva posto la prima parte dell’intervista.
La parte che vi ho trascritto è contenuta nella seconda parte.
QUI potete trovare tutti i suoi libri in italiano.


Che cosa resta? Resta la lingua.

GAUS: […] Quando torna in Europa che cosa le pare sopravvissuto e che cosa irrimediabilmente perduto?

ARENDT: L'Eeuropa del periodo prehitleriano? Non mi manca affatto. Posso assicurarglielo: Che cosa resta? Resta la lingua

GAUS: E ciò significa molto per lei?

ARENDT: Moltissimo. Mi sono sempre deliberatamente rifiutata di perdere la mia lingua madre. Ho sempre mantenuto una certa distanza rispetto al francese, che un tempo parlavo molto bene, come pure rispetto all’inglese, la lingua in cui scrivo oggi.

GAUS: Volevo proprio chiedere questo. Lei scrive in inglese ora?

ARENDT: Scrivo in inglese ma ho comunque mantenuto un certo distacco. C’è una differenza enorme tra la propria lingua materna e un'altra lingua. Per quanto mi riguarda le cose stanno in maniera molto semplice: in tedesco conosco a memoria gran parte della poesia tedesca; le poesie sono in un certo senso sempre lì, sullo sfondo dei miei pensieri  [in the back of my mind]. Questo può accadere una volta sola nella vita. In tedesco mi permetto delle cose che non oserei mai fare in inglese. O meglio a volte me le permetto anche in inglese perché ora oso un po’ di più, ma in generale ho mantenuto un certo distacco. La lingua tedesca è la cosa essenziale che è rimasta e che ho sempre volutamente conservato.

GAUS: - Anche nei momenti più amari?

ARENDT:  Sempre. Mi dicevo: che cosa posso farci? Non è stata  la lingua tedesca a impazzire e, d’altro canto, la lingua madre non ha eguali. E’ vero le persone possono dimenticare la lingua madre, l’ho visto con i miei stessi occhi. Ci sono persone che parlano la loro nuova lingua meglio di me. Io la parlo ancora con un forte accento e spesso ricorro a forme idiomatiche. Costoro possono fare tutte queste cose correttamente, ma lo fanno in un linguaggio in cui un clichè segue l’altro perché la produttività che si ha nella propria lingua sparisce quando ci si dimentica di essa.

GAUS – A proposito di casi in cui ci si dimentica della lingua madre, secondo lei questa dimenticanza è il prodotto di una rimozione?

ARENDT: In molti casi sì: L’ho visto accadere ad alcuni come conseguenza di un trauma. Vede, decisivo non fu lanno 1933, quantomeno non per me; decisivo fu il giorno in cui venimmo a sapere di Aushwitz
[…]
ARENDT: […]Ma l’esperienza generale, e principale, quando si torna in Germania – a prescindere dall’esperienza del riconoscimento [agnizione], che è sempre l’acme dell’azione nella tragedia – è quello di un’emozione violenta. E poi l’esperienza di sentire parlare tedesco per le strade. Per me fu una gioia indescrivibile.
[...]
(pp. 13-16) 
Da
 Hannah Arendt, Che cosa resta? Resta la lingua. Una conversazione con Gunter Gaus. Ora in Hannah Arendt, Antologia, Feltrinelli, Mlano, 2006, pp.1-25.
Questa conversazione tra
Hannah .Arendt. e Gunter Gaus, al tempo stimato giornalista e in seguito alto funzionario nel governo guidato da Willy Brandt, andò in onda alla televisione tedesca il 24 ottobre 1964.

Posted on January 24th, 2008 by Metamorphosis Design