Hannah arendt  l'amore

 

 

Hannah Arendt
Dan Krovatin, foto presa dal Manifesto 23 agosto 2007, p. 11


[...] In secondo luogo il termine “pubblico “ significa il mondo stesso, in quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo mondo, tuttavia, non si identifica con la terra o con la natura, come spazio limitato che fa da sfondo al movimento degli uomini e alle condizioni generali della vita organica. Esso è connesso piuttosto, con l’elemento artificiale, il prodotto delle mani dell’uomo, come pure con i rapporti tra coloro che abitano insieme il mondo fatto dall’uomo. Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-fra (in-between), mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo.
La sfera pubblica, in quanto mondo comune, ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce, per così dire, di caderci addosso a vicenda.
Ciò che rende la società di massa così difficile da sopportare non è, o almeno non è principalmente, il numero delle persone che la compongono, ma il fatto che il mondo che sta tra loro ha perduto il suo potere di riunirle insieme, di metterle in relazione e di separarle. La stranezza di questa situazione ricorda una seduta spiritica dove alcune persone raccolte attorno a un tavolo vedono improvvisamente , per qualche trucco magico, svanire il tavolo in mezzo a loro, così che due persone sedute da lati opposti non sarebbero soltanto separate, ma sarebbero anche del tutto prive di relazioni, non essendoci niente di tangibile tra loro.

Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, 1991,  p. 39

Hannah Arendt
Hannah arendt in una delle ultime foto prima di morire 1975


Per chi se le fosse perse offro le due pagine della Domenica della repubblica del 16 settembre2007, dedicate ad Hannah Arendt e all'uscita dei suoi Diari curati da Chantal Marazia, ed editi da Neri Pozza. Leggete con attenzione le poesie e i pensieri perchè sono un vero dono dell'intelligenza umana.

La lettura, Filosofia al femminile

Ha dedicato la vita allo studio del totalitarismo e della politica. Ha scritto un libro fondamentale sulla banalità burocratica del male nazista. È stata l’amante di Heidegger. La Arendt ha sempre parlato poco di se stessa, ma ha scritto moltissimo. Come si legge nei suoi diari ora pubblicati in Italia 

L’amore secondo Hannah potenza senza tenerezza

Febbraio 1951
Quel che siamo e sembriamo,
A chi importa.
Quel che facciamo e pensiamo
Nessuno se ne indigna.
Il cielo è in fiamme,
Chiaro il firmamento
Sopra l’unione
che non conosce la via.

Giugno 1951
I pensieri vengono a me,
non sono più un’estranea per loro.
Cresco e divento la loro dimora
come un campo coltivato.
Vieni e abita
nella buia stanza obliqua del mio cuore,
ché la vastità delle onde ancora
si chiude allo spazio.
Vieni e cadi
nei fondi colorati del mio sonno,
che ha paura del ripido
abisso del nostro mondo.
Vieni e vola
nella lontana curva della mia nostalgia,
che l’incendio divampi
all’altezza di una fiamma.
Stai e resta.
Aspetta che l’arrivo giunga
inesorabile dal lancio
di un istante.

Sopravvivere
Ma come si vive con i morti? Di’,
dov’è il suono che ne tradisce la presenza,
com’è il gesto se, condotti da loro,
desideriamo che la prossimità stessa a noi si neghi?
Chi sa il lamento che li allontana da noi
e tira il velo sullo sguardo vuoto?
A che cosa serve rassegnarsi alla loro assenza,
e rivolta il sentimento che impara a sopravvivere.
Il sentimento rivoltato è come il coltello rivoltato nel cuore.

Agosto 1951
Che fretta ha
il tempo,
non si sofferma,
aggiunge
anno dopo anno
alla sua catena.
I capelli
son presto
bianchi e soffiati via.
Ma se il
tempo si divide
ogni anno
in notte e giorno,
se il cuore
si sofferma —
non gioca
all’eternità
col tempo?

Gennaio 1952
Ogni solitudine portata con coerenza sino alla fine sfocia in disperazione e abbandono — semplicemente perché non è possibile gettarsi al collo di se stessi.

Sembra che tutto debba ripetersi. E mi chiedo che ne sarà di Te fra sette anni. La prossima tempesta, che soffia già da ogni direzione, come se si esercitasse nel soffiare e nello spazzare via, Ti risucchierà e Ti farà girare nel vortice, poiché navigando — e anche nei pericoli della navigazione — hai gettato tutto di bordo e sei rimasto senza un peso tuo? Oppure, per parlare una lingua diversa e molto più precisa, che non è la mia lingua, vuoi veramente fare di Te un “contenitore” [...] e condividere l’essenza del contenitore, che è il vuoto?
Non respingerlo subito. Se vuoi (devi?) imboccare questa strada, hai soltanto un’opportunità — che ti si possa ancora incontrare.
La forza diventa potere solo nel momento in cui si allea con altri. La forza che non può diventare potere, perisce da sé in se stessa.

Maggio 1952
Sono solo una
Delle cose,
Quelle piccole,
Che riuscirono
Per esuberanza.
Stringimi fra le Tue mani,
Che si espandano
Oscillanti
Nella riuscita,
Quando hai paura.

Giugno 1952
Manchester
Finché abitiamo questa terra, abbiamo tanto bisogno gli uni degli altri quanto avremo bisogno di Dio nell’ora della morte, quando cioè lasceremo la terra.

Ottobre 1952
In qualunque modo lo si voglia vedere, è incontestabile che a Friburgo io mi sia recata (e non caduta) in una trappola. Ma è ugualmente incontestabile che Martin [Heidegger], lo sappia o no, si trovi in questa trappola, che in essa sia di casa, che abbia costruito la sua casa attorno a questa trappola; cosicché si può andare a trovarlo soltanto se si va a trovarlo nella trappola, se si va in trappola. Quindi sono andata a trovarlo nella trappola. Il risultato è che ora lui sta di nuovo seduto da solo nella sua trappola.

Maggio 1953
L’amore è una potenza e non un sentimento. S’impadronisce dei cuori, ma non nasce dal cuore. L’amore è una potenza dell’universo, nella misura in cui l’universo è vivo. Essa è la potenza della vita e ne garantisce la continuazione contro la morte. Per questo l’amore “supera” la morte. Appena si è impossessato di un cuore, l’amore diventa una potenza ed eventualmente una forza. L’amore brucia, colpisce l’infra, ovvero lo spazio-mondo fra gli uomini, come il fulmine. Questo è possibile soltanto se vi sono due uomini. Se si aggiunge il terzo, allora lo spazio si ristabilisce immediatamente. Dall’assoluta assenza di mondo (=spazio) degli amanti nasce il nuovo mondo, simboleggiato dal figlio. In questo nuovo infra, nel nuovo spazio di un mondo che inizia, devono stare ora gli amanti, essi vi appartengono e ne sono responsabili. Proprio questa è però la fine dell’amore. Se l’amore persiste, anche questo nuovo mondo viene distrutto. L’eternità dell’amore può esistere soltanto nell’assenza di mondo (dunque: «e se Dio vorrà, ti amerò anche di più dopo la morte» — ma non perché allora io non “vivrò” più e di conseguenza potrò forse essere fedele o qualcosa del genere, ma a condizione di continuare a vivere dopo la morte e di aver perduto in essa soltanto il mondo!) o come amore degli “abbandonati”, non a causa dei sentimenti, ma perché, assieme agli amanti, è andata perduta la possibilità di un nuovo spazio mondano.

Gennaio 1954
Amo la terra
come in viaggio
il luogo straniero,
e non diversamente.
Così la vita mi tesse
piano al suo filo
in una trama sconosciuta.
All’improvviso,
come il commiato in viaggio,
il grande silenzio irrompe nel telaio.

Il cuore è un organo curioso; soltanto quando è spezzato, batte al proprio ritmo; se non si spezza, si pietrifica. La pietra che ci cade dal cuore è quasi sempre quella in cui il cuore si era quasi trasformato.

Marzo 1955
Amor mundi — perché è cosi difficile amare il mondo?
Una volta che abbiamo iniziato a pensare, i pensieri arrivano come le mosche e ci succhiano il sangue vitale. 

Maggio 1955
Dolcezza grave
La dolcezza è
all’interno delle nostre mani,
quando la superficie si
accomoda alla forma estranea.
La dolcezza è
nella volta celeste notturna,
quando la lontananza si
concede alla terra.
La dolcezza è
nella tua mano e nella mia,
quando la vicinanza bruscamente
ci fa prigionieri.
La malinconia è
nel tuo sguardo e nel mio,
quando la gravità ci
accorda uno nell’altro.

Fine 1957
Ti vedo soltanto
come stavi alla scrivania.
Una luce cadeva in pieno sul tuo viso.
Il vincolo degli sguardi era così stretto,
come se dovesse portare il tuo peso e il mio.
Il legame si è spezzato,
e fra noi si è creato
non so quale strano destino,
che non si può vedere e che nello sguardo
non parla e non tace.
La voce trovò e cercò
ascolto nella poesia.

Natale 1964
Un tempo, per corazzarmi contro la vanità, l’ambizione e i desideri folli, ho spesso giocato con la morte. Al cospetto della morte, della mortalità dei mortali — Vanitas vanitatum vanitas. Un pensiero assai consolatorio. Ma oggi, poiché in parte il mondo viene incontro proprio alla mia vanità, ricompensa la mia ambizione e ogni tanto esaudisce i miei folli desideri, mi rendo conto che il gioco con la morte non serve più. La morte stessa non è più il nostro letto di morte o d’agonia. Non che io abbia paura, ma le mie preoccupazioni vanno al di là della morte, voglio che il mio testamento sia in ordine, le mie carte al sicuro, che quel po’ di denaro sia distribuito in modo giusto — insomma, quando il mondo ci sorride, in fin dei conti siamo subito disposti a provare un interesse estremamente disinteressato nei suoi confronti.

Maggio 1965
A dire il vero, da quando avevo sette anni, ho sempre pensato a Dio, ma non ho mai riflettuto su Dio.
Ho desiderato spesso non dover più vivere, ma non mi sono mai interrogata sul senso della vita.

La nostra cognizione del tempo si orienta esattamente rispetto al numero di anni che abbiamo vissuto. Più si è giovani, più un anno è lungo, ma anche un’ora o un giorno. Se ho cinque anni, un anno corrisponde a un quinto della mia vita; se ne ho cinquanta, è soltanto un cinquantesimo. Ciò cambia solo quando si diventa vecchi e si inizia a contare partendo dalla morte e non più dalla nascita. Allora gli anni diventano di nuovo impercettibilmente più lunghi. 

Novembre 1968
La notte scorsa ho sognato Kurt Blumenfeld — per la prima volta in vita mia, credo. Nel sogno, lo incontravo inaspettatamente su un bel ponte nel bosco. Si levava di bocca il sigaro, per baciarmi. Gli dicevo: «Sei veramente tu? Non posso mica farmi baciare da uno sconosciuto». Ma lo dicevo ridendo. Nel sogno non sapevo che era morto. Mi sono svegliata ridendo. Per la gioia di questo incontro inatteso.
(© 2007 Neri Pozza)



Tra vita pubblica e privata. Officina di idee colori e dolore


Ambra Somaschini

“La dolcezza è / nella tua mano e nella mia, / quando la vicinanza bruscamente / ci fa prigionieri. La malinconia è / nel tuo sguardo e nel mio, / quando la gravità ci / accorda uno nell’altro». Hannah Arendt intima, privata, sconosciuta al pubblico italiano. Lo stile è scarno, sobrio, essenziale, spesso privo di verbi, un diario filosofico diretto, mai mediato da setacci editoriali. La filosofa della “banalità del male” racconta emozioni e sentimenti, mette insieme il suo sé. I Diari (curati da Chantal Marazia, Neri Pozza, 688 pagine, 55 euro, in libreria dal 21 settembre) rivelano un mondo nuovo fatto di colori («Il colore fa apparire l’universo, / i colori separano cosa da cosa») di amori («Vieni e abita / nella buia stanza obliqua del mio cuore», «vieni e cadi / nei fondi colorati del mio sonno») di dolori («Il mio dolore ha lavorato un tempo il ciglio a lamenti / contro la giungla del mondo»).
I quaderni, stampati in Germania da Piper, curati da Ursula Lutz e Ingeborg Nordmann, coprono vent’anni di storia, dal 1959 al ‘73. Un universo a parte che forse si lega di più alla sua scelta di presentare una tesi di laurea nel ‘29 ad Heidelberg sull’amore in Sant’Agostino che alla sua vita passata a formulare idee sugli orrori dei totalitarismi.
Arendt scrive a mano e nel testo è stato fatto uno studio dettagliato per rendere la sua dinamicità linguistica: le parti in inglese sono in corsivo, le citazioni dal greco, dal latino e dal francese sono riproposte in lingua originale; le citazioni dal tedesco e dall’inglese sono state tradotte. Tutto conservato al Deutsches Literaturarchiv di Marbach tranne il primo taccuino, approdato nella Library of Congress di Washington.
Ventinove quaderni in tutto, ricettacoli ideali per esprimere pensieri, laboratori senza mediazioni, nemmeno quella della macchina da scrivere.
Arendt ha avuto due mariti, Gunter Stern e Heinrich Blucher, e un amante, Martin Heidegger. «Nell’inverno 1924-25 Heidegger tenne un corso magistrale su Platone e Aristotele — ha spiegato Franco Volpi — il filosofo trentacinquenne rimase colpito, come scriverà nelle lettere, “da quello sguardo che mi rivolgevi mentre parlavo dalla cattedra”.
A fulminarlo furono gli occhi di Hannah diciottenne che seguiva con soggezione le sue lezioni».
«L’amore — sostiene la filosofa — è un evento da cui può derivare una storia o un destino. Il matrimonio come istituzione della società riduce in briciole questo evento, come tutte le istituzioni consumano gli eventi sui quali erano state fondate». Poi ci illumina sul significato della poesia: «La poesia concentra densamente, protegge il nucleo degli avversi sensi. / Il guscio, quando emerge il nucleo, / mostra al mondo il denso interno»; del tempo, degli anni: «Un ragazzo e una ragazza / al torrente e nei boschi / prima sono giovani assieme / poi assieme sono vecchi. / Fuori giacciono gli anni / e ciò che chiamiamo vita / dentro vive l’assieme, / che non conosce né anni né vita».
Questi diari sono un’officina del pensiero — osserva Chantal Marazia — Arendt come filosofa dello spazio pubblico ha sempre tenuto rigorosamente separato il suo privato fino al punto di definire la vita privata una tautologia. Scrive lei stessa: “Ogni vita è privata. Finché viene vissuta, nessuna vita può tollerare lo spazio pubblico”».

 Domenica della Repubblica in La Repubblica, 16 settembre 2007, pp.42-43