Così la terra cominciò a parlare
Sergio FrauScavando nell'etimologia del greco, del latino e del sanscrito, Giovanni Semerano ha rintracciato la madre di tutte le lingue. Arriva dalla Mesopotamia
Qualcosa di nuovo, anzi di antico. Antico e sorprendente.
Mettiamo Adamo... Di solito si parte da lui e si viene avanti, fino
a noi.
A un certo punto, quando racconta dell'Eden, anche il professor
Giovanni Semerano s'imbatte in Adamo: ma a quel punto ti sorprende e
va all' indietro: prima nell'ebraico dove "adam" vuol dire
uomo e "dama" terra. Poi, scava scava, si spinge ancora più
in là, e finisce per arrivare all'ugaritico di "adam",
ovvero "umanità".
Anche la sua Eva è molto più antica della Bibbia, c'è da sempre:
"Ama" in sumero significa madre, e siccome con la
pronunzia accadica la emme si legge "w", eccola già
presente nel nome "Awa, Ewe"...
E Zeus, il dio trionfante degli inizi? Il professore - analizzando
il beotico Deus, il miceneo Diwe, le basi delle lingue omeriche con
Zen e Zena- ne - fa il punto d'arrivo di termini molto, molto
antecedenti come ziu o zinnu e zananu ( pioggia, piovere) anch'essi
termini accadici che ben quadrano con l'appellativo che al primo
degli dei affibbiò prima Omero ("adunatore di nubi"), poi
Roma ("Giove pluvio"). E con Crono suo terribile padre,
allora? Finora al suo nome non fu mai data una spiegazione
plausibile. (La storia del tempo è infatti roba recente, greca). Il
professore, invece, ci si è messo al solito di buzzo buono: ha
perlustrato Omero, vi ha rintracciato un Crono dalla falce ricurva,
simbolo della Luna. Ha controllato poi in Macrobio, ha consultato
Ovidio, e - scoprendovi una Crane divinità latina che qualcuno ha
identificato nella Dea Luna - oggi è finalmente certo che sia Crono
che Crane, siano imparentati da vicino con il "cornu"
latino, che a sua volta ci arriva dall'accadico "qarna "
(corna, anche quelle della Luna). E così via, parola per parola: il
vecchio mondo tutto nuovo... Un tempo nel VII secolo a. C., per
incontri così, ci si doveva sbattere fino alla sacra Sais, in
Egitto. E si aspettava. Si aspettava.
Se poi, a qualcuno dei sacerdoti di lì - ultimi depositari della
grande sapienza dei faraoni e dei loro archivi - girava bene, potevi
magari avere con uno di loro uno di quegli incontri che ti
spalancano la testa, ti aprono mondi, ti forniscono parole chiave
per entrare nella memoria del passato.
Giovanni Semerano, invece, abita a cinque minuti da Santa Maria
Novella, in un appartamento al pian terreno circondato da diecimila
libri ("Tutti nuovi, tutti comprati dopo l'alluvione che mi
portò via nel fango quelli che avevo allora") e accudito da
Fely, una signora filippina che - dice lui - è diventata, ormai,
una vera rabdomante per trovare i testi che gli servono, quando la
casa gioca a nasconderglieli d'improvviso.
E' minuto, sorride spesso, parla a voce molto bassa, modulando però,
con sacralità, le importanze delle sue parole. E racconta, così,
cose che ha studiato per tutta una vita. E che strabiliano. Fa
venire in mente quel drappello di vecchi della Yourcenar
che, tenendosi per mano, ti portano - sommando tutte le loro età -
alle sapienze degli antichi. Entrare con il professore nel Pantheon
degli antichi dei, stupisce fin dai primi incontri. E' come se tutti
loro ti venissero presentati per la prima volta, con il loro vero
nome. I Titani e i Giganti, ad esempio.
Che fossero figli della Grande Madre Terra, si è sempre saputo ma
fa un certo effetto sapere che "tit" in aramaico vuol dire
"terra argillosa" e che "gea", la terra dei
greci che fa da base a Giganti, sotto sotto già nascondeva "ga",
terra in sumero.
O che il nome Cadmo figlio del fenicio Agenore, a sua volta figlio
di Poseidone dio del mare, riserva sorprese: lo ritroviamo a diverse
latitudini prima e dopo che fondi Tebe. "Qadmu" in
accadico è il capostipite, "predecessore",
"l'antico".
(Anche in ebraico, per dire origine, si usa "qadma"). E
sua sorella Europa che all'inizio indicava l'Occidente? Dall'assiro
"erebu", "erabu" ovvero offuscarsi, occidente.
Ovvio, no? Del resto sono tutte parole di 1000, 1500 anni precedenti
alla lingua di Omero.
Dietro la sua aria serena il professore cela una vera rivoluzione:
è lui - pugliese di Ostuni, classe 1911 - l'uomo che, ormai da
anni, qui in Italia sta uccidendo l'"Indo-europeo", la
teoria diffusionista nata a fine Settecento che - partendo dalle
assonanze che la lingua sanscrita (allora appena scoperte) mostrava
con molti idiomi mediterranei ed europei - ipotizzava quella matrice
indiana non solo per le impalcature linguistiche della nostra civiltà,
ma anche per la struttura culturale delle prime genti giramondo che,
di conseguenza, sempre da lì - dalle terre oltre il Caucaso -
venivano fatte arrivare.
In mancanza di meglio la teoria - grazie soprattutto a quelle
somiglianze con il greco, il latino, il germanico - divenne legge.
Gli studiosi tedeschi i suoi primi custodi. Trionfò così, di pari
passo con la Germania, per più di due secoli. E continuò a
dominare dappertutto - nei libri e sulle cattedre - persino quando,
nella seconda metà dell' Ottocento, il ventre di fango della
Mesopotamia cominciò a restituire a decine di migliaia quelle
tavolette graffiate con piccoli cunei incisi, in bella scrittura:
una civiltà prima delle civiltà, di molto antecedente al IX secolo
dei sanscriti.
Così, ancor oggi, spesso si tiene buono quel mitico imprinting
indo- europeo ormai scaduto. Cosicché "la glottologia,
nonostante i suoi progressi, non ha finora permesso di far luce su
migliaia di nomi di antichi popoli, di luoghi, di città, di mari,
di fiumi che si affollano nella storia delle civiltà
antiche...". Poche cose riservano sorprese come il passato:
grazie a quei graffietti cuneiformi, negli ultimi decenni, si è
appurato che già nel 2300 a.C. la lingua dei cunei dominante il
mondo - l'accadico-sumero, l'inglese di allora - aveva permeato
attraverso le conquiste di re come Sargon il grande, i suoi
commerci, gli scontri e i viaggi, non solo l'intero Mediterraneo, ma
anche, con un effetto domino prolungato nei secoli, gli Sciti del
Mar Nero, le pianure della Russia, le distese dell'Europa centrale,
le vallate verso l'India.
Continuerà a farlo più di mille anni dopo soprattutto con i Siro-
Fenici prima (e il loro linguaggio di mare, e quel loro alfabeto che
costituirà l'impianto per l'alfabeto di Omero), e con i Greci poi
che contagiarono di poesia e cultura mezzo mondo. Il Sanscrito degli
indo-europei nacque, di là dal Caucaso, sempre da quei contagi
recenti: non può essere dunque quella lingua la madre di tutti i
nostri idiomi. Al massimo una sorella...
Per questo, quaranta anni fa, il professore ha dato il via alla sua
paziente, sterminata, puntigliosa, esaltante caccia grossa al senso
nascosto nelle parole. Trovandolo. Del resto aveva cominciato già Socrate...
Lo testimonia Platone
nel Cratilo: "Socrate: Sapresti dirmi perché il fuoco si
chiama "pyr"? Ermogene: Per Zeus, proprio no. Socrate:
Allora bada, ho un sospetto a tale riguardo: penso che gli Elleni,
specie quelli che vivono sotto il dominio degli stranieri, molte
parole le abbiano prese da essi. Ermogene: E allora?.
Socrate: Se uno cerca le ragioni di questi nomi in base alla lingua
ellenica e non in base a quella dalla quale derivano, tu capisci che
non ha via di uscita...".
E lui, il professore, questo ha fatto. Dice: "Le parole sono
come le stelle: le vedi brillare ancora e magari sono morte, invece,
da milioni di anni...". O anche: "Ormai è certo: senza la
Grecia d'Asia, terra di feconde esperienze e contatti caldei, la
Grecia d'Europa non sarebbe mai stata la Grecia".
Con in testa convinzioni come queste, Giovanni Semerano, già
cinquant'anni fa - quand'era soprintendente alle Biblioteche della
Toscana, e studiava tanto, e frequentava Bernard
Berenson, e disquisiva di etrusco con Re Gustavo di Svezia - si
è immerso nelle parole, nelle loro etimologie primigenie. Milioni
di parole che ora gli brillano intorno, tutte insieme, vivissime:
dalle più antiche - quelle accadico- sumere, appunto - fino alle
greche, alle latine, all'italiano, al tedesco di oggi, all'inglese.
Ne ha dato conto anni fa in una poderosa pubblicazione per l'editore
Olschki. Ne parlò tutto il mondo. La Chicago University lo volle
tra i suoi saggi. Uomini che fanno cultura come Umberto
Galimberti, Luciano
Canfora, Massimo
Cacciari lo vedono come l'amico sapiente da interpellare per
un'etimo oscuro.
(Cacciari, nel suo Arcipelago, edito da Adelphi, si sdebita
con lui in nota: "Alle straordinarie ricerche di questo
solitario devo moltissime indicazioni e suggestioni per tutta la
dimensione etimologica di questo libro"). Ed Emanuele
Severino, mai tenero, per i libri di Semerano si è sbilanciato
con la definizione: "Una festa dell'intelligenza".
Un'unica stroncatura gli arrivò da Salvatore
Settis, che però dovette poi incassare dal professore una
lettera, lunga e staffilante, che lo lasciò senza parole. Sei anni
prima che i Lincei in pompa magna attribuissero il bronzo di Riace
più anziano a Pitagora, scultore calabrese, lui l'aveva già
scritto. E viene data per buona la sua traduzione delle lamine di
Pyrgi, uno dei documenti più importanti, lunghi e difficili che gli
Etruschi ci abbiano lasciato. Un cervellone, insomma...
Ora sta dando gli ultimi ritocchi alla prefazione di Apeiron, un
equivoco millenario alle origini del pensiero greco, un altro libro
fantastico che uscirà in autunno a dar scossoni e scombussolare le
certezze di chi si è occupato di filosofia finora. E' un saggio del
tutto autonomo che, però, per essere gustato appieno, presuppone la
conoscenza dell'intero impianto etimologico messo su dal professore.
Quindi - se si amano queste cose - ci si metta in gruppo, ci si
quoti in comitiva ( e si facciano, poi, i turni per le
consultazioni), si costringano i presidi di facoltà a comprarlo, le
biblioteche di quartiere ad averlo... ma alla fine si tirino fuori
le 612 mila lire che costano i quattro poderosi tomi finora
pubblicati (Le origini della cultura europea, tutt'insieme
pagg.
2.331). Per stamparli - con tutti quegli svirgolii, gli asterischi,
i segnetti che le antiche parole accadiche, greche, ebraiche esigono
- il suo editore, Olschki, ha dovuto comprare caratteri apposta,
all'estero. E in questi casi nessun ministero in Italia - finora -
aiuta un editore che ama la qualità ma che, certo, non può farsi
uccidere da essa...
Scrive il professore: "Nessuno, fino a qualche decennio fa,
avrebbe potuto supporre una realtà come questa che sta bruciando
ormai ogni vanità eurocentrica e che restituisce al Vicino Oriente,
anche sul piano linguistico, il giusto riconoscimento di
un'inesauribile matrice". E dice anche:" Il Castello
indoeuropeo non regge più: è l'intero universo delle voci comuni
che è geneticamente riconducibile alle civiltà di Sumer, Akkad,
Babilonia, Ebla, Ugarit, Tiro, Sidone...".
Salpare con il professore - su quelle che furono le loro rotte,
usando la loro lingua per capire quel loro mondo ora nostro,
zigzagando per queste sue pagine sorprendenti - è un po' come
navigare all'antica, quando era ancora la costa - con le bizzarrie
della sua natura - a farti da guida, segnalandoti rotte, tappe e
approdi.
Viaggiando negli etimi che lui ha catturato, ingabbiato e ordinato
nei suoi libri- dizionario e scuoiando via gli ultimi strati dalle
parole greche e latine con il suo affilato impianto sumero-accadico,
tutto, d'incanto, si fisicizza. Si fa materia, senso, e - proprio
tornando all'essenza, ai significati primordiali - stranamente, il
mondo antico diventa anche più comprensibile, più vero. Cosa
unisce l'Olimpo di Giove e le Alpi di Bossi a parte quel che solo i
geologi già sanno (e che cioè fanno parte di una lunga sola catena
montuosa, quella degli Acrocerauni)? Entrambi derivano il proprio
nome dalla comune matrice accadica che aggroviglia insieme halpu
(ghiaccio) e elepu (diramarsi). E Nilo? Neilos per i greci, Nilus
per i latini, anche il Nilo trova finalmente una sua spiegazione nel
babilonese più antico che per dire e scrivere inondazione usava
nilum.
Arabia? Dal mediobabilonese del II millennio, "arbu":
deserto, luogo arido.
Asia? Da "asu"(accadico) "luogo dove sorge il sole,
oriente". Persino dietro al Belgio si nasconde un'etimologia
accadica con quel "palgu" (canale) che in ebraico diventerà
"peleg" per scorrere fino al mare-pelagus dei romani.
E così facendo battezza di nuovo il mondo, e - quasi quasi - lo
ricrea, restituendo i nomi evocativi del primo significato a tutto.
Persino il corpo umano sembra trovare un senso nuovo.
"Mano" dice il professore "è una di quelle parole
che hanno sfidato i millenni. Ma non ha mai avuto un'etimologia.
Ora, però, sappiamo che nell'accadico manu significava calcolare,
computare, e che nell'aramaico manja era l'unità di misure
equivalente a 480 grammi, giusto quanti una mano ne poteva
contenere".
E sia parlandoci - ma anche soltanto leggendolo - si avverte anche
dentro di lui un magma incandescente, miscela esplosiva di passioni,
odii, antipatie, amori che - anch'esse - travalicano i millenni e lo
fanno contemporaneo di tutto ciò di cui parla.
Aristotele? "Spesso si confonde interpretando male le parole
degli antichi...". Platone? "Nel Cratilo fa danzare lo
sciame delle etimologie in un gioco vorticoso, superficiale, guidato
appena dal suono delle parole". E c'è Esiodo che, per lui, di
tanto in tanto "va cianciando di giorni fausti e
infausti". Persino il Big Bang della scienza più recente viene
etichettato, con smagata sufficienza di chi ne ha sentite tante
negli ultimi 4000 anni, come "pirotecnica invenzione ". Le
distanze dei secoli, con lui, così, scompaiono. Come quando Champollion,
grazie a quelle sue parole chiave, riuscì a forzare la memoria
dell'Egitto per restituircelo, attuale e pieno di vita. E c'è,
forse, un po' di se stesso - dell'isolamento che ha dovuto
sopportare quand'era ancora in mezzo al guado delle sue ricerche -
quando a un certo punto riporta le schegge affilate con cui fu
immaginato Eraclito
in un momento di sfogo: "Sono Eraclito. Perché, idioti, mi
tirate su e giù? Non ho faticato per voi, ma per quelli che sanno
capire". O anche quando cita lo stesso Eraclito che sbotta così:
"Per me uno solo vale quanto moltissimi, se spiritualmente è
il migliore".
Altri tempi...