All'origine delle parole
Umberto Galimberti: All´origine delle parole.
Giovanni Semerano
Tratto da “la Repubblica”, 22 luglio 2005
A 92 anni si è spento a Firenze Giovanni
Semerano. Per lui e per la nostra cultura mi auguro che, almeno dopo
la morte, egli abbia quel giusto riconoscimento che non ha avuto in
vita perché la sua tesi, circa l´origine accadica e non indiana
delle lingue europee, smontava un´antica tradizione e, con essa una
gran quantità di studi, di competenze, di libri, di cattedre, di
potere.
Allievo di Giorgio Pasquali e del semiologo Giuseppe Forlani, di
Giacomo Devoto e Bruno Migliorini, Semerano incomincia la sua
carriera a Firenze come professore di Latino e Greco al liceo, ma la
sua vera passione è l´etimologia delle parole, la cui ricerca
viene delusa troppe volte quando, consultando i dizionari
etimologici che sposano la tesi dell´origine indoeuropea delle
nostre lingue, si trova di fronte alle espressioni: etimologia
sconosciuta, inconnue, ignorée, unbekannt, unknown. Gli viene
allora il sospetto che, assumendo come quadro di riferimento la
lingua accadica parlata nel Terzo millennio avanti Cristo in
Anatolia, Siria, Mesopotamia dai mercanti e dai sovrani nei loro
epistolari con i faraoni egiziani, quelle etimologie
"sconosciute" cedono il loro segreto e in particolar modo
le etimologie delle parole inglesi e tedesche che hanno sempre messo
a dura prova il quadro di riferimento indoeuropeo.
Per inseguire questa sua ipotesi Semerano abbandona la cattedra di
liceo e si trasferisce come direttore prima alla Biblioteca
Laurenziana di Firenze e poi alla Biblioteca Nazionale dove rimane
per trent´anni a costruire il suo capolavoro che ha per titolo Le
origini della cultura europea, in quattro volumi pubblicati da Leo
Olschki. I primi due (1984) con l´etimologia dei nomi di città e
di persona, gli altri due (1994) articolati in un dizionario
etimologico rispettivamente della lingua latina e della lingua
greca, con il prosieguo nelle lingue moderne: inglese, tedesco,
francese, italiano, spagnolo, portoghese. A Leo Olschki Semerano
giunse grazie a un incontro che risale agli anni Settanta con Neppi
Modona, ordinario di etruscologia all´università di Firenze, che
aveva appena pubblicato un libro su Cortona etrusca. A Neppi Modona,
Semerano raccontò, con la sua voce sommessa, che, su basi accadiche
"Cortona" voleva dire "terra", con riferimento
all´etrusco "kurtun", all´ebraico "keret", all´egizio
"qart", alla città cretese Gortina, all´italiano
Crotone, al latino Cartago con quel finale "ago" che
significa "acqua" come si conveniva a Cartagine che era un
porto sul Mediterraneo.
A proposito degli etruschi, dobbiamo sapere che l´allora massima
autorità in materia, Massimo Pallottino, sosteneva l´indecifrabilità
di quella scrittura, in quanto quella cultura aveva in Toscana la
sua origine senza altre derivazioni, nonostante Erodoto avesse
scritto nelle sue Storie che gli etruschi provenivano dalla Lidia in
Anatolia. Semerano partendo dall´accadico, decifrò quella
scrittura, ma la sua scoperta, per l´autorità di Pallottino, non
ebbe alcun seguito e la scrittura etrusca rimase inutilmente avvolta
nel suo enigma.
Verso la fine degli anni Settanta Giovanni Spadolini, conosciuto
Semerano, gli commissionò una ricerca sull´etimologia della parola
"Italia" che allora veniva resa come "terra dei
vitelli" da "vitulus" (vitello). Semerano segnalò
che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la
"i" di "Italia" era lunga e perciò era
presumibile che la parola venisse dall´accadico "Atalu"
che significa "terra del tramonto", a cui corrispondeva la
parola etrusca "hinthial" che vuol dire "ombra".
Fu allora che l´inviato in Italia del giornale inglese The Guardian
si incuriosì del personaggio e lo raggiunse a Firenze. Lo intervistò
uscendo poi con un titolo a tutta pagina: “An Italian Professor
Finds Accadian Roots Under the Linguistic Tree” (un professore
italiano scopre le radici accadiche sotto l´albero delle lingue).
La notizia sconvolse il mondo culturale anglosassone e lasciò
indifferente quello italiano, ad eccezione dell´assirologo Giovanni
Pettinato che, in qualità di capo della spedizione italiana in
Siria, rinveniva ventimila tavolette della biblioteca di Ebla che,
opportunamente tradotte, confortavano l´ipotesi di Semerano, di cui
Emanuele Severino scrisse che “i suoi libri sono una festa dell´intelligenza”,
mentre Massimo Cacciari riconosce che “alle straordinarie ricerche
di questo solitario devo moltissime indicazioni per tutta la
dimensione etimologica del mio libro Arcipelago”.
Ultimi suoi lavori sono L´infinito: un equivoco millenario
(2001) e Il popolo che sconfisse la morte. Gli Etruschi e la loro
lingua (2003) entrambi editi da Bruno Mondadori. Nel libro sull´infinito,
che la sua affettuosa amicizia ha voluto dedicarmi, Semerano
dimostra che la parola di Anassimandro: "Apeiron" che è
poi la prima parola della filosofia greca, e che come tutti sanno è
nata in Asia Minore, non vuole dire "infinito" o
"indeterminato" come vogliono Platone e Aristotele e, dopo
di loro l´intera storia della filosofia, ma semplicemente
"terra", "polvere", "fango", dall´accadico
"eperu", vicino al semitico "apar", da cui l´ebraico
"aphar".
Ma che succede se questa parola, a cui Heidegger in Germania e
Severino in Italia hanno dedicato splendide pagine, ha un
significato così modesto come modesta è l´acqua di Talete e l´aria
di Anassimene pensate rispettivamente come principio di tutte le
cose? E che significa che gli enti, come dice Anassimandro “pagano
gli uni agli altri la giusta pena della loro iniquità secondo l´ordine
del tempo” se non che tutti originano dalla terra e secondo l´ordine
del tempo nella terra ritornano? Non c´è qui più affinità con il
motivo della cultura semita, dove il Creatore plasma il primo uomo
con l´"apar" con la polvere della terra e, dopo la
maledizione divina, lo condanna a dissolversi nell´"apar",
nella polvere, di quanta non ce ne sia con la tradizione filosofica
che rende "apeiron" con "infinito",
"indeterminato" e con tutte le implicazioni filosofiche
che ne seguono?
Qui gli esempi potrebbero continuare, ma noi ci fermiamo per
rivolgere ad Heidegger e a tanti filosofi e filologi quello che
Heidegger stesso chiedeva ai suoi predecessori: “Ma in che lingua
traduce l´Occidente?”. Semerano fa la sua proposta, perché non
approfondirla anche se dovesse far vacillare apparati culturali e
soprattutto autorità e poteri consolidati da quegli apparati?
Semerano non ha potuto ottenere in vita il giusto riconoscimento.
Non neghiamoglielo dopo la morte, perché come lui stesso scrisse:
“Il futuro ha un cuore antico, e avviare un nuovo rapporto
culturale col remoto passato salda una nuova unità spirituale fra
noi e i popoli scomparsi che, come astri spenti, continuano a
irradiare il lucente messaggio che giunge sino a noi. A essi mancò
il dovuto riconoscimento di essere stati alle origini operanti sugli
avvenimenti dei nostri destini”.
Posted on January 24th, 2008 by Metamorphosis Design