anche New york è nata in iraq
da "il manifesto" del 28 Febbraio 2003 - FABRIZIA RAMONDINO,
L'origine di molte parole che usiamo ogni
giorno è nelle lingue arcaiche della Mesopotamia. E ce n'è anche
per Bossi: stia attento a rivendicare le radici celtiche. Scava
scava, troverebbe l'arabo
Scriveva Savinio che l'etimologia è il
luna-park della filologia. Questo valeva al suo tempo e anche al
mio, quando nei primi Anni 60 studiavo all'Istituto Orientale di
Napoli e seguivo un corso: origini del latino dall'indoeuropeo - in
realtà dal sanscrito.
Secondo quelle teorie, tanto le lingue europee che quelle indiane
sarebbero derivate dal sanscrito. Se l'indoeuropeo era allora un
luna-park della filologia, l'indogermanico, tanto caro ai nazisti,
da luna-park si trasformò in istituzione concentrazionaria.
Ma da alcuni anni, tranne che per gli ignoranti o alcuni accademici,
attaccati a vecchi pregiudizi e al potere, questo non è più vero.
Da quando cioè il grande filologo ed etimologo, ormai
ultranovantenne, Giovanni Semerano, ha stabilito in modo
inequivocabile che la culla delle nostre lingue è la Mesopotamia,
dalla quale la cultura, attraverso commerci e migrazioni di popoli,
si è irradiata già nel III millennio a.C. verso ovest, nord, sud e
nell'VIII sec. a.C. verso l'India.
Questo lungo e paziente lavoro è compendiato in quattro dizionario
etimologici pubblicati dall'84 al `94 dalla casa editrice Leo S.
Olschki in Firenze, in cui lo studioso comprova le basi semitiche
delle lingue indoeuropee.
Giovanni Semerano per tutta la vita, e forse ancora oggi, è stato
osteggiato. In un articolo apparso su Repubblica (14 giugno
2001), che ha per titolo «Il linguista che fa tremare l'Accademia»,
Umberto Galimberti gli rende merito, come avevano già fatto Massimo
Cacciari ed Emanuele Severino, oltre ad altri pochi studiosi
stranieri. Ed è stato lui che dopo innumeri rifiuti di editori è
riuscito a far pubblicare presso la Bruno Mondadori un suo libro L'infinito:
un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le
origini del pensiero greco.
Le lingue semitiche comprendono fra le principali l'accadico, l'ugaritico,
il fenicio, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo classico, l'etiopico; e
da queste lingue sono derivate tutte le lingue europee antiche e
moderne oltre che le lingue slave e tutte le parlate indiane, fra
cui, il più noto adattamento è il Brahmi, arrivando persino a
comprendervi le lingue amerindiane e quelle polinesiane. Queste sue
ricerche sono state sostenute e confermate dalla scoperta nel 1985
ad opera dell'archeologo Vittorio Mathieu delle ventimila tavolette
dalla biblioteca di Ebla, in Siria.
Gli studi di Semerano sono partiti soprattutto dai dizionari
etimologici indogermanici, nei quali spesso accanto a numerosi lemmi
c'era scritto: etimologia sconosciuta. E lui ha voluto affrontare
proprio questo sconosciuto e lo ha risolto.
Fra gli infiniti lemmi contenuti nei dizionari di Semerano mi preme,
in questi giorni di venti di guerra, sottolinearne alcuni, riducendo
all'essenziale l'etimologia.
Ariani deriva dall'accadico aru = andare (cioè
nomadismo), da cui l'ebraico aher = forestiero.
Svastica: deriva dell'accadico Sawas = sole e da tebù
= avvicinarsi. Scrive a proposito di questa voce Semerano: «Se in
passato qualcuno ha potuto fare di un simbolo del sole un oscuro
segno di minaccia, oggi la storia disvelata del Vicino Oriente è in
grado di dissipare un equivoco tutt'altro che innocente».
Razza: dal neoassiro Harsaa = una razza di cavalli; da
cui l'inglese horse = cavallo, il tedesco Ross,
l'italiano rozza, cavallo vecchio e pieno di malanni.
York: (da cui New York): deriva dall'accadico agu =
acqua, fiume e dall'accadico eberu = traversare l'acqua, da
cui il primo nome celtico della città inglese di York: Caer
Ebrauc.
Guaglione: deriva dall'accadico qalum = giovane,
piccolo; da cui il tedesco klein = piccolo; e la parola
etrusca clan che significa servo, garzone.
Jahvè, giove: derivano ambedue, il dio biblico e quello
pagano, dal tetragramma Jhwh, ebraico Jom, arabo jaum,
accadico uwn = giorno, tempesta. «Il grande dio dei nostri
popoli è alle origini il Signore delle tempeste e della luce.»
Anima: «Uno dei misteri, che ha pesato sull'anima, investe
le origini di inglese soul, tedesco Seele. Si accostò
alla base di sea, see di cui si ignorò l'origine. Realmente soul
richiama il mondo degli Inferi, che in ebraico è sol; e Seele
«anima» e scopre l'interferenza della base di accadico sillu
«ombra». Di che cosa può essere ombra l'anima, se non di quella
del nostro corpo, il quale in tedesco Leib deriva dal
semitico accadico libbu che indica soprattutto gli organi
interni dell'uomo, fra cui il cuore, perciò amore in tedesco si
dice Liebe, in russo Liuba. Quindi, penso io: se
l'anima è l'ombra del corpo, significa che anche l'amore, oltre che
evidentemente la morte sono in ombra; delle ragioni dell'amore e
della morte dovrebbero tenere conto tutti i signori delle guerre,
grandi o piccoli che siano, che nelle loro propagande guerrafondaie
mantengono in ombra queste ragioni.
Ce n'è anche per Bossi e la Lega Nord, che rivendicano le radici
celtiche delle parlate della loro «Padania». «Come non scorgere
che la componente magos di nomi celtici, ad esempio «Rotomagus»
(Rouen), «Noviomagus» (Noyon) è della medesima origine del
sardo Macomer, cioè semitica? E' ebraico maqom «stanziamento»,
«luogo di abitazione». E che altro è la componente Roto-,
di «Rotomagus», Rouen, posta sulla Senna, se non semitico accadico
ratum, aramaico ebraico rahat? E anche Raetia
denota la regione al limite dei grandi fiumi». Quindi sconsiglierei
vivamente a Bossi la lettura dei dizionari di Giovanni Semerano,
perché se si mette a scavare nel celtico finirà per trovare anche
l'arabo, da lui tanto detestato.
Mano: anche l'etimologia latina manus veniva
considerata di origine ignota. Deriva invece dall'accadico manu=
calcolare. La mano quindi «strumento di calcolo, ragione e uomo,
cioè tedesco Mann, Mensch "uomo", quale essere
pensante». Come calcola, ragione, l'uomo d'oggi, mi chiedo io?
Mi scusi il grande Giovanni Semerano per questi miei abusi e
semplificazioni della sua immane fatica di studioso. Ma lascio a lui
la conclusione: «E' oggi che sulla terra la vita è prostrata alla
mercé del folle che può sopprimerla azionando un congegno o
avvelenando l'atmosfera, e tante sono le morti minacciate ed
annunziate, sentiremo forse in questo immane suicidio l'ostilità
del cosmo che sente nella vita organica che lo abita il virus che
l'opprime. Qual è la forza che può contrastare l'arcana avversità
dell'universo se non l'amore che ci fa solidali? Vi fu un poeta che
visse questa angoscia nella trasparenza di un simbolo, ma la
ginestra del suo ultimo canto è restata inerme e indifesa, alle
pendici del vulcano».