àpeiron infinito - giovanni semerano - cultura e giochi di potere - Umberto Galimberti
Giovanni Semerano, autore di due grandi Dizionari etimologici editi da Leo Olschki, scrive: ‘i popoli scomparsi, come astri spenti, continuano a irradiare il lucente messaggio che giunge sino a noi. A essi mancò il dovuto riconoscimento di essere stati alle origini operanti sugli awenimenti dei nostri destini"
certamente ricorderà dl quando la "Fibula
Prenestina" veniva celebrata come il primo documento della
letteratura latina, finché negli anni ‘80 sì scopri che sì
trattava di un falso.
Ora ci risiamo, solo che In questo caso non si tratta dl un falso
ottocentesco, ma di un equivoco millenario. La recente Pubblicazione
dei volume I Presocratlcl a cura dì Giovanni Reale ha Infatti
riportato d’attualItà un frammento dl Anassimandro che
rappresenta il primo documento della filosofia occidentale. In tale
frammento l"’àpeiron" viene proposto come principio
fondamentale di tutte le cose; da Aristotele In poi quosto termine
veniva tradotto con "Infinito", rendendo incomprensibile
la sequenza logica della scuola dl Mileto che Incominciava con l’acqua
di Talete e sì concludeva con l’aria di Anassimene. In mezzo,
incomprensibilmente, c’era l’Infinlto di Anassimandro. Quando
frequentavo l’università le cose stavano così Poi è arrivato Il
filologo Giovanni Semerano che ha compiuto un’autentica
rivoluzlone, rintracciando le originI del latino e del greco non in
un fantomatico indoeuropeo ma in lingue storicamente documentate
come l’accadico e Il semitico. Così, proprio negli stessi anni in
cui veniva svelato il mistero della Fibula Prenestina, cadeva il
mito dell’Indoeuropeo. Confermando il detto "nemo propheta in
patria", Semerano è stato apprezzato più all’estero che In
Italia, dove si continua a tramandare l’errore di Aristotele come
se niente fosse. Ora, mentre la "Fibuia Prenestina" venne
immediatamente espunta dai libri di testo, teme che i manuali di
filosofia ci metteranno un beI po’ prima di tener conto delle
ricerche dl Semerano, ma forse almeno i nipoti dei miei alunni
potranno conoscere l’Anassimandro restaurato.
Ma lei crede davvero che la cultura sia immune dai giochi di potere? Per carità! Come tutte le cose, anche le ipotesi culturali meno verosimili servono a mantenere il prestigio di certe cattedre e la posizione di chi, per mantenere la propria "autorità in materia", non vuole che il sapere avanzi. Prendiamo l’esempio degli Etruschi, a proposito dei quali l’allora massima autorità in materia, Massimo Pallottino, sosteneva l’indecifrabilità di quella scrittura, in quanto quella cultura aveva in Toscana la sua origine senza altre derivazioni, nonostante Erodoto avesse scritto nelle sue Storie che gli Etruschi provenivano dalla Lidia, in Anatolia. Giovanni Semerano, a cui non fu mai assegnata una cattedra universitaria, partendo dall’accadico decifrò quella scrittura, ma la sua scoperta, per l’autorità di Pallottino, non ebbe nessun seguito. E la scrittura etrusca rimase inutilmente avvolta nel suo enigma.
Verso
la fine degli anni Settanta Giovanni Spadolini, conosciuto Semerano,
gli commissionò una ricerca dell’etimologia della parola
Italia", che allora veniva resa come "terra dei
vitelli", da "vitulus" (vitello). Semerano segnalò
che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la
"i" di "Italia" era lunga e perciò era
presumibile che la parola venisse dall’accadico "atulu",
che significa "terra del tramonto", cui corrispondeva la
parola etrusca "hinthial" che vuoi dire "ombra".
Fu allora che l’inviato in Italia del giornale inglese The
Guardianì si incuriosì del personaggio e lo raggiunse a
Firenze. Lo intervistò, uscendo poi con un titolo a tutta pagina:
"An Italian professor finds accadian roots under the linguistic
tree" (un professore italiano scopre le radici accadiche sotto
l’albero delle lingue). La notizia sconvolse il mondo culturale
anglosassone e lasciò indifferente quello italiano, a eccezione
dell‘assirologo Giovanni Pettinato, che, in qualità di capo della
spedizione italiana in Siria, rinveniva 20 mila tavolette della
biblioteca di Ebla, che, opportunamente tradotte, confortavano l’ipotesi
di Semerano. In uno dei suoi ultimi lavori, L’infinito: un
equivoco millenario, Giovanni Semerano, che rifiuta l’origine
indiana delle lingue europee, dimostra che la parola di Anassimandro
"apeiron", che è poi la prima parola della filosofia
greca, che come tutti sanno e nata in Asia Minore, non vuoi dire
"infinito" o "indeterminato", come vuole
Aristotele e dopo di lui l’intera storia iella filosofia, ma
semplicemente "terra", "polvere",
"fango", dall’accadico "eperu", vicino al
semitico "apar", da cui l’ebraico "aphar".
Ma
che succede se questa parola, a cui Heidegger in Germania e Severino
in Italia hanno dedicato splendide pagine, ha un significato così
modesto, come modesta è l’acqua di Talete e l’aria di
Anassimene, pensate rispettivamente come principio di tutte le cose?
Non c’è qui più affinità con il motivo della cultura semita,
dove il Creatore plasma il primo uomo con l"’aphar", con
la polvere della Terra, e dopo la maledizione divina lo condanna a
dissolversi nell"’aphar", nella polvere, di quanto non
ce ne sia con la tradizione filosofica che rende "apeiron"
con "infinito", "indeterminato" con tutte le
implicazioni filosofiche che ne seguono? Qui gli esempi potrebbero
continuare, ma noi ci fermiamo per rivolgere a Heidegger e ai tanti
filosofi e filologi quello che Heidegger stesso chiedeva a suoi
predecessori: "Ma in che lingua traduce l’Occidente? Semerano
dà la sua proposta: perché non approfondirla anche se dovesse far
vacillare apparati culturali e soprattutto autorità e poteri
consolidati da quegli apparati?