Sesso in pillole
MASTURBAZIONE
Tra i tanti atteggiamenti di condanna o di censura nei confronti della sessualità, uno dei più stupefacenti per la sua virulenza è senza dubbio quello messo in atto verso la masturbazione.
Difatti, forse più che di fronte ad ogni altra espressione della
sessualità, la coalizione tra scienza e norme morali si è fatta
così salda da porre la masturbazione in una evidenza di malattia, o
di peccato, o di attività comunque deprecabile.
Ma, nonostante l'autoerotismo fosse da un lato descritto (Esquirol
, 1916) come "la più comune causa di pazzia" o di esso
fosse detto (New Orleans Medical and Surgical Journal), citato da Thomas
Szasz in "Sesso a tutti i costi", che "né la
peste, né le guerre, né il vaiolo, né un gran numero di flagelli
analoghi si sono mai rivelati disastrosi per l'umanità
dell'abitudine a mastrurbarsi", per citare brevi esempi in
campo scientifico e, dall'altro lato fosse bollato come "contro
natura" e quindi peccaminoso, i dati del rapporto Kinsey
, già negli anni 50 mettevano in evidenza che il 94% dei maschi ed
il 58% delle femmine avevano sperimentato la masturbazione e con
questa raggiunto l'orgasmo. Sono dati confermati da altre ricerche (Hertoft
, 1968; Schmidt e Sigush ,1972; Hite , 1977)
nei quali le percentuali variavano di non molto rispetto a quelle
indicate da Kinsey.
Sono comunque tutte ricerche che sottolineano sia la diffusione del
comportamento autoerotico, sia le differenze tra maschi e femmine,
per le quali la questione appare essere molto più complessa.
E' vero che la repressione della pratica masturbatoria è stata
violenta anche nei confronti dei maschi, dal 1700 ad epoche recenti.
E' forse vero, in qualche misura, che si può spiegare la minore
tendenza all'autoerotismo da parte della donna con le considerazioni
di psicoanaliste, come Helene Deutsch quando dice che
"con tutta verosimiglianza le sensazioni vaginali non possono
essere paragonate alla pressione dell'orgasmo maschile". O con
quelle di Marie Bonaparte quando sottolinea che
"nell'esplorazione dei suoi genitali la bambina incontra un
ostacolo generalmente ignoto al maschio: il dolore".
E' vero che si può chiamare in causa la diversa configurazione
anatomica dei genitali femminili, più nascosti, più intimi
rispetto a quelli maschili. Ma certamente il posto di primo piano,
tra le cause di minor tendenza delle donne alla masturbazione,
spetta alla maggiore repressione che, comunque, la sessualità
femminile si è trovata a subire rispetto a quella maschile.
Nonostante tutto comunque, l'effetto della censura
non ha sortito l'effetto desiderato, visto che, malgrado le
condanne, la masturbazione è probabilmente l'attività sessuale
più praticata.
Ciò pone questa espressione della sessualità in un ambito
talmente fisiologico da essere piuttosto resistente, sul piano del
comportamento, ai divieti.
Per quanto riguarda invece il vissuto dell'esperienza, le cose
stanno diversamente ed è lì che la repressione coglie nel segno, generando
sentimenti di colpa, di paura e di vergogna.
A sottolineare che la masturbazione non si pone nell'ambito della
patologia, ma anzi nasce là dove la relazione si articola
armoniosamente, vi è il contributo di Spitz.
In una ricerca condotta nell'arco di 14 anni, dal 1948 al 1962, egli
mise in evidenza che tanto più il rapporto madre-figlio era
armonico, tanto più frequenti erano i giochi genitali del bambino
fin dal primo anno di vita. I bambini che vivevano con i genitori
erano molto più "giocosi" in questo senso che non quelli
che erano costretti nei brefotrofi.
Questa osservazione sembra porre il rapporto con i propri genitali
in un ambito originario nel quale non è certo il ritiro dalla
relazione a promuoverlo, ma anzi la sua qualità. Via via, nella
storia dello sviluppo psicosessuale del bambino, la masturbazione
acquista significati differenti e tutti importanti, tanto da
assumere una notevole rilevanza nella strutturazione della
sessualità.
Il significato dell'autoerotismo varia in particolare dal periodo di
latenza (come strumento per scaricare impulsi aggressivi e sessuali,
per conservare la consapevolezza dell'esistenza dei propri genitali
esterni), all'adolescenza (come attività che consente una prova
delle nuove risorse sessuali, nella fantasia di un rapporto a due
adulto, e che contemporaneamente soddisfa desideri pregenitali
inconsci). In questo tragitto si insinua il primo senso di colpa che
genera conflitti interni soprattutto perché è concomitante
all'evoluzione edipica. Ma, come dice Lebovici , "la
masturbazione svolge una funzione fondamentale nell'elaborazione dei
fantasmi ad essa collegati e nei conflitti da essi provocati, al
pari dei meccanismi difensivi che derivano da tali
conflitti".
Dati recenti sull'attitudine alla masturbazione sembrano avvalorare
il suo significato e la sua prerogativa nella strutturazione di una
sessualità funzionale al piacere.
In due ricerche successive condotte su due gruppi diversi di
volontari invitati a leggere letteratura erotica e ad assistere a
film sessuali espliciti, gli psicologi californiani Abramson
e Mosher hanno messo in evidenza che coloro che hanno un
atteggiamento negativo verso la masturbazione si sentono
maggiormente in colpa nell'assistere alla proiezione dei film, hanno
avuto meno esperienze sessuali, hanno maggiori problemi di fronte al
sesso e sono persino meno informati sulla contraccezione.
Questi autori hanno potuto anche determinare, mediante un'analisi
termografica, che i soggetti con attitudine negativa di fronte alla
masturbazione hanno una vasocongestione pelvica, una volta esposti a
stimoli erotici, più scarsa rispetto a chi ha attitudini
positive. Questo dato, evidentemente, pone il buon rapporto
con la masturbazione come un fattore predittivo importante verso una
buona sessualità. Ben lungi quindi dall'essere una pratica
sessuale nociva , o anormale, essa non è contro la relazione, ma
può essere, al contrario, verso una relazione sessuale piacevole ed
appagante.
Un ruolo importante in questo senso è giocato dalle fantasie,
scenario potenzialmente ricco nel quale l'uomo e la donna possono
collocare pensieri, aspettative e desideri sessuali. In una
tale dimensione, l'autoerotismo non si può considerare come
sinonimo di solitudine, di triste ritiro coatto dal mondo delle
relazioni, ma come esperienza preparatoria all'incontro.
Nonostante l'immaginario femminile non abbia mai dimostrato di
essere povero, per lungo tempo si è ritenuto che i maschi fossero
fisiologicamente più reattivi delle donne agli stimoli delle
fantasie e fossero più predisposti a produrne. Ma anche questa
asserzione è stata dimostrata inesatta. In particolare la Schmidt
che, in due successive ricerche, ha messo in luce come tale
disparità fosse da attribuire soltanto agli atteggiamenti
socioculturali verso la sessualità e al modo con il quale i figli
erano stati cresciuti. Atteggiamenti questi che tendono ad inibire
le espressioni sessuali della donna, la sua reattività a questo
tipo di stimoli e la capacità di mantenerli una volta prodotti, a
causa dello svilupparsi di ideali dell'Io e di un Super-Io che
limitano la reazione femminile e frequentemente la rendono
conflittuale. Ancora una volta, da queste osservazioni emerge che la
legge che nega è tanto forte da privare l'esperienza autoerotica di
gran parte del patrimonio che la può arricchire. Così impoverita,
colpevolizzata, demonizzata, può allora trovare sì schiere di
detrattori che la collocano in un mondo nevrotico ed autistico.
Dimensione dove, per la verità, talvolta va collocata, ma solo in
quei casi di patologia dove questa pratica è un corollario di
comportamenti parafilici
o compulsivi.