dominio sottomissione

Chi domina nei giochi di coppia?

Nella sessualità la sottomissione e il potere sono elementi che giocano nella composizione dell'erotismo, dato che offrono nella sottomissione, il cedere al partner dimostrando così la forza delle emozioni e del rapporto, e nel dominio, invece, la possibilità di aumentare l'autostima con la sensazione di potenza. La dimensione della sottomissione/dominio: 1) rinforza il potere dell'altro/a; 2) lo rassicura sull'appartenenza; 3) può determinare un antidoto alla gelosia; 4) costituisce un rinforzo narcisistico; 5) permette la misurazione della propria competenza sessuale dato che l'altra/o non riesce a sottrarsi.Il partner dominato Il partner dominato cerca di esprimere questo bisogno di appartenere completamente, accetta tutte le regole, nello stato d'animo di "avere perso la testa", che libera l'espressione nel corpo e consegna la mente. Il dominio è invece più mentale che corporeo, si esprime nel restare vigili e nel mantenere il controllo, esalta perché permette di ottenere dall'altra persona i gesti voluti anche in modo dispotico, accendendo eros. Nella consultazione clinica possiamo verificare che l'atteggiamento passivo della sottomissione, esclusa la perversione del masochismo dove prevalgono i maschi, è più femminile che maschile. Per uno strano incrocio della psiche femminile con la stratificazione delle culture che impongono la sottomissione all'uomo, la donna può, a livello inconscio, desiderare di essere guidata nella scoperta di eros attraverso una competenza maschile a farla scendere nelle sensazioni del corpo,lasciando i pensieri di controllo che sono correlati a una educazione repressiva. La sottomissione risponde ad un allevamento segreto delle bambine prima e delle donne poi a giocare il ruolo che il maschile ha pensato e scritto rendendo culturale quello che nel mondo animale è espresso dalla monta e da un arrendersi della femmina guidata dall'istinto della riproduzione.Si può svincolare l'erotismo da questo binomio rinforzando nel processo educativo del maschio l'accesso ad una sessualità incentrata sul gusto di muoversi intorno a una donna avendo voglia del suo odore, del suo sapore, di sentirsi dentro di lei, di vivere la penetrazione, dialogando con il piacere della partner. Questa al maschile è la sessualità che può esprimersi nella dimensione complessa in cui piacere, altruismo e potenza si mescolano. Nel cambiamento al femminile, la donna conserva il piacere di vivere il suo corpo toccato come risorsa e nello stesso tempo può ricercare la penetrazione indossando la vagina come dominio, accogliendo il pene e provando potenza nel piacere che regala e che riceve. Momenti dell'eros Una nuova costruzione educativa si gioca con la parola condividere e riconoscersi. Ma dominio e sottomissione restano momenti dell'eros, a volte vissuti a livello delle fantasie. Fantasia al maschile di lasciarsi trattare senza opporre resistenza e al femminile di essere costrette a fare gesti che sono impediti nella fase cosciente, liberando il corpo e la sessualità dai vincoli di un'educazione densa di tabù. Nelle fantasie ad occhi aperti sognare il dominio e la sottomissione sono modi di sperimentare altre dimensioni della sessualità, sono modelli simbolici che permettono l'accesso ad altri aspetti del piacere anche nelle sue forme arcaiche.Nella realtà è bene avere la piccola prudenza di non irrigidire i copioni o renderli esclusivi, perché è bene che restino nel gioco sessuale della reciprocità e della condivisione. La stanza della sessualità è un luogo dove si entra dopo un riconoscimento, cercando di avere consapevolezza del proprio essere nel mondo, delle cose che ci possiamo permettere e che rendono salva la nostra stima e la nostra capacità di tornare al presente. A volte un eccesso di controllo e una educazione fortemente repressiva possono essere motori di forme esasperate di dominio/sottomissione
.di Roberta Giommi- www.repubblica.it 
 

Questione di centimetri

Salve
Mi chiamo Paola e sono una donna di 38 anni, sono brasiliana ed abito a Milano. Ho girovagato un po' sul Vostro sito, che trovo davvero molto ben fatto e dove ho potuto leggere alcuni articoli molto interessanti.
Vi scrivo per conoscere la Vostra opinione sulla relazione fra la lunghezza del fallo, il Vostro simbolo del potere, ed il dominio e rapporto di sottomissione che nella coppia un vero Maschio instaura verso la femmina.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, ho avuto tre rapporti con uomini con dimensioni molto diverse, ed ho potuto constatare nella pratica che esiste una relazione molto stretta fra dimensioni ed atteggiamento dominante: il primo uomo, brasiliano (30 cm) era sessualmente molto potente e totalmente dominante su di me, ed interpretava il ruolo di un vero maschio padrone anche se romantico e gentile. Anche l'atteggiamento psicologico era proprio di un dominatore, in quanto non cercava un rapporto serio, non era fedele e sincero. Il secondo, italiano (18cm), era insicuro, 
psicologicamente e sessualmente dominato dalla sua femmina, sottomesso, inaffidabile ed indeciso. Il terzo, il mio attuale fidanzato, italiano (14cm), sincero, romantico e del quale sono innamoratissima, a letto mi subisce perché spesso sono dominante su di lui. Sono comunque soddisfatta del sesso con lui anche se lo domino, siamo una bella coppia, ed io, anche se mi ritengo una donna sottomessa, non ho alcun problema a gestire il comando sessuale nella coppia.
Data la mia esperienza, mi piacerebbe sapere la Vostra opinione sul perché, nonostante il fallo sia il simbolo del potere da quando esiste l'umanità, una coppia possa stare bene anche se è la femmina dominante a letto. È possibile che un vero Maschio sia felice dovendo passare il comando alla sua 
donna nel letto? E come si relaziona un vero Maschio con il suo fallo di piccole dimensioni? 

Grazie, Paola Leoni.

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Cara Paola,
le “misure” del fallo sono indubbiamente importanti nell’immaginario collettivo maschile, ma anche in quello femminile. Un fallo poderoso, in genere, contribuisce a dare sicurezza al maschio e affascina la femmina. La questione, tuttavia, è più complessa e secondo noi va posta in modo diverso. Per stare alle statistiche la misura media del fallo in erezione (nel maschio di razza bianca) si avvicina di più a quella del tuo attuale fidanzato che ai precedenti. Poiché non c’è ragione di pensare che ci sia stato un rattrappimento improvviso, è evidente che le ragioni più profonde dell’insicurezza che colpisce oggi molti maschi e li porta alla passività, vanno ricercate altrove.
Secondo Jacques Lacan, grande psicanalista francese, il fallo è “Il significante per eccellenza”, colui da cui scaturisce il significato di tutto, ossia in primo luogo strumento di conoscenza e di sapienza, ordinatore di senso, e quindi il simbolo intorno al quale le società umane si sono psichicamente ed anche socialmente strutturate. Come tale e come tramite fra materia e spirito simboleggiata dallo slancio verticale del fallo eretto, e non solo come simbolo della fecondità, è sempre stato oggetto di venerazione e di rispetto, senza che ciò significasse immediatamente una dinamica di coppia di dominio/sottomissione. Il potere fallico è prima di tutto e soprattutto potere del maschio su sé stesso.
Oggi non sembra più così. La società si è strutturata su altri principi, il consumo delle merci e la soddisfazione istantanea del bisogno. Il significato simbolico del fallo non solo è stato abbandonato, ma viene combattuto come l’ostacolo principale al pieno affermarsi di un modo di vivere orizzontale e materialista. Sarebbe troppo lungo, in questa sede, analizzare il perché del fenomeno, ma le sua conseguenza principale è che il maschio ha perduto la sua identità psichica, considerata sgradevole e oppressiva, divenendo incerto e passivo. Secondo alcuni questo fenomeno sarebbe addirittura irreversibile. Noi non lo crediamo, ma se così fosse, vista la perdita d’identità che colpisce si i maschi, ma di conseguenza anche le donne, e considerando che non è in vista nessun sostituto possibile del principio fallico, si starebbe consumando una tragedia per l’intera umanità. 
Tornando alla tua “statistica”, dunque, il rapporto di causa/effetto va rovesciato. E’ dall’incertezza della propria identità psichica che scaturisce l’ossessione per le misure, ed è fatale che solo i superdotati si sentano rassicurati ed in grado di esercitare appieno la loro maschilità. Maschilità monca in quanto limitata al solo fatto biologico, e che peraltro, quando insiste troppo sulla dinamica dominio/sottomissione, è anch’essa indizio di paura. 
Non usiamo entrare nella camera da letto di una coppia, dove anche la dialettica attivo/passivo può nascondere significati diversi dall’apparenza, nel senso, ad esempio, che la “passività” maschile potrebbe corrispondere al concetto di “immobilità regale”, un po’ come il Re nel gioco degli scacchi rapportato all’attivismo della Regina. Nel mondo indù e indo-tibetico, orientati senza alcun dubbio in senso maschile, vi sono numerose rappresentazioni di amplessi di questo tipo, a significare che ciò che conta davvero è l’atteggiamento “interiore” dei partner. 
Laddove serpeggiano incertezze e inquietudini sulla giustezza dei ruoli sessuali instaurati all’interno della coppia, e quindi una non piena soddisfazione, è probabile che si avverta uno squilibrio nell’atteggiamento psichico profondo del maschio e della femmina in rapporto alla propria identità. In questi casi crediamo che un maschio, come una donna, non possano essere davvero felici. Con queste considerazioni crediamo di aver risposto anche alla domanda su come un uomo può rapportarsi al suo fallo di piccole dimensioni, posto naturalmente che a parità di funzionamento, “grande è bello”.
Con ciò non vogliamo entrare nel merito del tuo rapporto personale, ma offrire a te ed al tuo fidanzato qualche spunto di riflessione, anche per l’insistenza con cui parli di dominio/sottomissione, comando/obbedienza.

I maschiselvatici 

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Psicoterapia e Scienze Umane, 1999, XXXII, 1
Tra amore e potere: la relazione tra sessi

Claudia Zanardi

In questo articolo si assume la relazione d’amore tra i sessi "come luogo di intreccio tra amore e potere nel conflitto che si crea nella dipendenza della relazione amorosa tra l’affermazione di Sé e del proprio desiderio e il riconoscimento dell’altro/a e del desiderio dell’altro/a" (Zanardi 1999, p. 63). Essa viene proposta come topos previlegiato per l’approfondimento del momento specifico in cui le dinamiche di potere si sostituiscono a quelle di amore. 
Secondo l’A, malgrado i profondi cambiamenti del ruolo femminile nella società occidentale negli ultimi decenni, con crescita di autonomia, conseguente anche alla maggior presenza della donna nel mondo del lavoro, sembrano tuttavia permanere invariati stereotipi di vita modellati su dominio maschile e sottomissione femminile . 
Nel saggio ci si interroga appunto sulle dinamiche relazionali di potere o sottomissione, presentandone alcune definizioni, che ne individuano le radici nella relazione primitiva del bambino con la madre, più precisamente in un rapporto di privazione, con vicende diverse in maschio e femmina. La sottomissione della donna viene ricondotta ad un rapporto della bambina con una madre a sua volta deprivata e deprivante, senza possibilità di affermare la propria differenza. Allo scopo di mantenere la propria identità, la donna sarebbe quindi costretta a vivere rapporti di sottomissione nella relazione, per non perderla, e non perdersi. Diverso per l’uomo, quantunque la radice della dinamica di potere stia anche per lui nella privazione, necessitata dal doversi staccare dal corpo della madre, disidentificandosene, per raggiungere ed affermare la propria mascolinità (problema vissuto diversamente dalla femmina, data la sua identificazione corporea col corpo della madre ): "Il bimbo, nel suo sviluppo psichico, reagisce con il potere e l’onnipotenza all’impotenza di fronte ad una necessità di separazione corporea dalla madre...per raggiungere una sua individuazione anche corporea, potrà affermare la sua differenza e la sua identità soltanto con il potere, e spesso con il potere sessuale" (ibid., p. 70) Anche il rapporto d’amore con la donna ("la madre"), pertanto, viene sottoposto al suo controllo. 
Per esemplificare le dinamiche di potere esercitato e subito nella relazione d’amore tra uomo e donna, l’A sceglie una novella di Dostoevskij, La Mite (1876). 
La storia viene narrata dall’uomo dominatore, "che capisce tutto". Davanti alla bara della moglie appena suicidatasi, egli proclama con onnipotenza nutrita di onniscienza che, se fosse arrivato cinque minuti prima, tutto questo non sarebbe mai avvenuto. Racconta poi la propria vita, a partire dall’accusa, quando era ufficiale, di non aver difeso l’onore del reggimento, col rifiutarsi a un duello con un superiore ubriaco, con conseguente espulsione ed ignominia, conferma del vissuto di non essere mai stato amato. Horney (1932) sottolinea come tipico dell’uomo il terrore di essere rifiutato e deriso, connesso con angoscia di inadeguatezza sessuale, emotiva, economica. Gratificazione e indipendenza sarebbero ottenute dall’uomo tramite il controllo della donna. 
Un’inaspettata eredità permette al protagonista, perseguitato dalla reputazione rovinata, di crearsi un piccolo spazio, aprendo un banco dei pegni, che subito trasforma in strumento di potere: il controllo onnipotente può costituire una fonte di rassicurazione (Rivière, 1964). 
E’ a questo punto che egli incontra la Mite. Orfana a 13 anni di padre e madre, vissuta per tre anni in un rapporto di schiavitù presso zie cattive, sottomessa, umiliata, oggettivizzata come "una bocca inutile", la giovane aveva preso a frequentare il banco dei pegni al fine di procurarsi denaro per cercare lavoro tramite annunci sul giornale. Impegnava perciò piccoli oggetti dei genitori. Centrale il pegno finale di un’icona lasciatale dalla madre, cui era attaccatissima, simbolo del vitale legame con una figura materna persa e idealizzata, quasi una consegna di Sé, della sua stessa identità. 
Da parte sua, l’uomo, notata nella ragazza una mitezza, che gli permette di ferirla con facilità, prefigurando rivincita e riscatto alle umiliazioni nell’esercizio di un potere, si affretta a chiederla in sposa: "il dominatore ha bisogno di qualcuno capace di riconoscerlo, di riconoscere il suo potere, la sua esistenza. Tuttavia esercitando il potere nell’umiliazione dell’altra, distrugge la possibilità di essere riconosciuto, di esistere." (Zanardi, 1999, p. 75). La giovane viene pertanto frustrata nella ricerca di soggettività attraverso la relazione, perché il marito, temendo di entrare in un rapporto di dipendenza, la tratta con distacco, risponde al totale aprirsi di lei col silenzio. L’uomo infatti (Dinnerstein, 1976) cerca di evitare il bisogno di "vorace dipendenza", per accedere a competenza, autonomia, dignità; quindi deve ripudiare i suoi bisogni verso la madre, per potersene separare, proiettando rabbia e terrore originariamente dirette verso di lei sulle altre donne. 
Il racconto entra nel vivo della vicenda: rea di essersi ribellata al potere dell’uomo (col rendere "un ricordo " a una vecchietta, in cambio di un oggetto di minor valore), venuta casualmente a conoscenza da un ufficiale delle antiche disavventure del marito nel reggimento, viene spiata in quest’occasione da lui, in tal modo involontario testimone della nobiltà d’animo di lei. L’amore e l’ammirazione riportano l’uomo a contatto con la dipendenza, col rischio di frammentazione del Sé. Solo un ristabilimento della posizione di potere potrà salvarlo. Pertanto, al suo rientro a casa, la umilia, lasciandole supporre un suo disegno di ucciderla, col porre in silenzio sul tavolo quella stessa rivoltella che, nei primi tempi della loro relazione, le aveva mostrato, simbolo del suo potere. Ancora silenzio quando, svegliandosi al mattino, la vede in piedi accanto al letto, con la rivoltella puntata contro la sua tempia. Ulteriormente umiliata , la donna fugge, e l’uomo si sente di nuovo il più forte.. Ma allorché, comprato un letto e un paravento, fa ritorno a casa per sancire da vincitore la separazione, lei torna e si ammala di una febbre violentissima per sei settimane, atto mancato mediante il quale, col rispondere sullo stesso piano, si sottrae al potere del marito, nullificandolo, ed assumendolo in proprio, assieme alla propria punizione. Miller (1991) ha sottolineato che l’uso del potere da parte della donna porta alla distruzione dei suoi rapporti. In questo caso, il corpo si ammala, e la relazione è rotta.Quando la donna si riprende, la sua mitezza e umiliazione raggiungono l’apice, con gran soddisfazione del marito Il dramma è in agguato: un giorno, mentre lavora, la donna si mette a cantare, e questo per l’uomo è intollerabile: "che mi abbia dunque dimenticato?". Improvvisamente, il dominatore cessa di esistere; cerca allora di recuperare il potere attraverso l’amore, come tentativo di controllo onnipotente. Dopo aver ceduto alle richieste del marito, la donna , in preda a violenti sensi di colpa , gli promette rispetto e fedeltà: ancora una volta, sull’amore ha vinto il potere, il riconoscimento di Sé passa attraverso il riconoscimento del potere dell’altro. 
La situazione precipita rapidamente: mentre lui non c’è, lei si butta dalla finestra, abbracciata alla sua icona: "la soluzione della morte è per lei l’identificazione con la madre, con la relazione materna e forse paradossalmente una scelta di soggettività nel sottrarsi al potere affermando se stessa nella morte" (Zanardi, 1999, p. 80). 
Privato della sottomessa, per ritrovare il proprio Sé, l’uomo torna al banco dei pegni, dove vi saranno altri sottomessi su cui esercitare il potere: "Per poter esistere per se stessi si deve poter esistere per un altro/a. Se si distrugge l’altro/a, non c’è nessuno che possa riconoscere il proprio Sé. Nella mancanza di soggettività la relazione dominio-sottomissione è l’unico contenitore di due Sé frammentati che solo nel legame con l’altro/a, trovano una soluzione alla loro non-esistenza". (ibid., pp. 80-81). 
Fin qui il saggio della Zanardi. 
Il lavoro, assai accurato e ben documentato, per certi versi, ricorda il filone di ricerca della sexual asimmetry, enfatizzando la diversità tra potere e valore attribuito a ciascun sesso (Blok, 1987). Merita vedere più da vicino questo punto. 
L’"assunto di base" dell’A, e cioè le dinamiche di potere nel rapporto uomo/donna, con sottomissione della femmina e dominio del maschio, ripropone una vecchia storia, insita fin dalle origini nel dibattito interno alla psicoanalisi stessa: quella del "primato del fallo". Di diretta derivazione freudiana (per Freud, pur nella bisessualità sia maschile che femminile, l’invidia del pene rimane per la donna universale e determinante), addirittura rinforzato, soprattutto intorno agli anni ‘30, da posizioni (di psicoanaliste donne!) che sanciscono la disposizione passivo-masochista della donna (Deutsch, 1930; Lampl-de-Groot, 1927, 1933), il principio fallocentrico trova un robusto tentativo di contrastarlo nella teorizazzione kleiniana dei rapporti del bambino con la figura materna e della sua conoscenza innata degli organi sessuali e delle funzioni maschili e femminili (Klein, 1932). 
Non va neanche dimenticato che la costellazione di potere appare rovesciata già nella visione junghiana del patriarcato, in cui l’Anima, figura simbolica femminile nell’uomo, respinta dall’uomo e proiettata nella donna, rende quest’ultima più "potente" sotto forma di "Grande Madre", lasciando l’uomo in veste di bimbo, quindi con un capovolgimento di potere e dipendenza; senza tuttavia escludere che l’uomo possa comunque accentuare il suo potere, svalutando sadicamente la donna. 
Certo, a tutt’oggi, nessuno può negare che il rapporto tra amore e potere continui ad esistere. Ma non è più concepibile il ricollegarlo a stereotipate definizioni dei ruoli sessuali, come avveniva, ad esempio, nell’Ottocento (cui il testo di Dostoevskij si riferisce). Non perdiamo di vista che Freud stesso si muoveva in un contesto ottocentesco, in cui la scienza medica metteva in primo piano l’enorme preoccupazione per la masturbazione, rea di infettare il sistema nervoso, propagandosi perniciosamente per l’intero organismo, donde le prescrizioni frequenti di circoncisione e clitoridectomia quale cura radicale (Esquirol, 1805). In quegli anni, parallelamente, si diffondeva la castrazione delle donne per guarirle da disturbi nervosi, particolarmente dalle paralisi isteriche. Le donne stesse, a legioni, richiedevano l’intervento. Chiaramente, l’intervento aveva un significato simbolico, prima ancora che fisico, tanto che si verificarono guarigioni dopo interventi puramente "placebo". In ogni caso, guarigione dall’isteria e castrazione o mutilazione della clitoride o dell’utero venivano strettamente legate, tanto che, a poco a poco, si cominciò a vedere l’aspetto puramente psicologico di questi collegamenti, soprattutto l’aspetto psichico curativo di simili operazioni. Questa violenza esercitata dal medico (uomo) sulla donna, che masochisticamente si assoggettava, era però possibile in quella cultura: non per questo il discorso rapporto uomo/donna e potere può essere generalizzato. 
Pertanto, ferma restando l’importanza dei condizionamenti culturali in cui lo sviluppo del singolo individuo ha luogo, dobbiamo tener presente che più accurate revisioni psicoanalitiche dei concetti di sessuale e sessualità (Morgenthaler, 1984), chiarendo le vicende della pulsionalità dell’Es, hanno mostrato come esse siano diverse per ogni individuo, sia esso uomo o donna. 
Impossibile quindi ricondurre il rapporto uomo/donna allo stereotipo "donna dominata e uomo dominatore". Anche recenti ricostruzioni storiche ad opera degli studi sul genere evidenziano che la donna non può che essere vista come uno dei due interlocutori-attori di una storia di relazioni, in una prospettiva assolutamente egalitaria. La differenza tra i sessi viene piuttosto a costituire uno spazio comune in cui dinamicamente avvengono le relazioni tra uomo e donna, con continua costruzione e ricostruzione dei ruoli sessuali in una parità di diritti e di opportunità che lascia spazio alle differenze di identità. Ne risulta una storia fatta di uomini e di donne, diversa nei vari periodi perché chiama in causa culture, valori e ruoli sempre diversi. Per cui una risposta ( dinamicamente aperta) alla domanda di Freud: "Che cosa vuole una donna?" si può forse collocare in una frammentazione di essa: "che cosa hanno desiderato i vari tipi psicologici, gruppi sociali, epoche storiche delle donne, e possiamo distinguere quali sono state le loro volontà da ciò che è stato voluto per loro?" (Young-Bruehl, 1990, p. 62). 

Bibliografia 

Blok, J., Mason, P. (1987). Sexual asymmetry. Amsterdam: Gleben. 

Deutsch, H. (1930). The significance of Masochism in the mental life of the woman. International Journal of Psycho-Analysis, 11:48-60. 

Esquirol, J.E.D. (1805). Des passions, considérées comme causes, symptomes et moyens curatifs de l’aliénation méntale. Tr.it., Venezia: Marsilio, 1982. 

Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo. Opere, vol.7. Torino: Boringhieri, 1975. 

Klein, M. (1932). The Psychoanalysis of Children. Tr. it., Milano: Feltrinelli, 1969. 

Lampl-de-Groot, J. (1927). The evolution of the Oedipus Complex in women. International Journal of Psycho-Analysis, 9: 332-345. 

Lampl-de-Groot, J. (1933). Contribution to the problem of femininity. Psychoanalytic Quarterly, 2: 489-518. 

Morgenthaler, F. (1984). Sessualità e psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane, 2:3-28. 

Young-Bruehl, E. (1990). Freud sul femminile. Torino: Boringhieri, 1993.