La destra che sceglie di semplificare - Il pensiero sbrigativo. di Michele Serra
La pedagogia e la didattica, così come sono
andate evolvendosi nell’ultimo mezzo secolo, sono avvertite come
discipline "di sinistra" non tanto e non solo per il
tentativo di sostituire alla semplificazione autoritaria
orientamenti più aperti, e a rischio di permissivismo
"sessantottesco". Sono considerate di sinistra perché
complicano l’atteggiamento educativo, aggiungono scrupoli
culturali ed esitazioni psicologiche, si avvitano attorno alla
collosa (e odiatissima) materia della correttezza politica,
esprimono un’idea di società iper-garantita e per ciò stesso di
ardua gestione, e in buona sostanza attentano al desiderio di
tranquillità e di certezze diun corpo sociale disorientato e
ansioso, pronto ad applaudire con convinzione qualunque demiurgo,
anche settoriale, armato di scure. In questo senso la proposta
Gelmini è quasi geniale. L’idea-forza, quella che arriva a una
pubblica opinione sempre tentata da modi bruschi, però
semplificatori, è che gli arzigogoli "pedagogici", per
giunta zavorrati da pretese sindacali, siano un lusso che la
società non può più permettersi. Il vero "taglio", a
ben vedere, non è quello di un personale docente comunque candidato
- una volta liquidati i piloti, o i fannulloni, i sindacalisti o
altri - al ruolo di ennesimo capro espiatorio. Il vero taglio è
quello, gordiano, del nodo culturale. La nostalgia (molto diffusa)
della maestra unica è la nostalgia di un’età dell’oro
(irreale, ma seducente) nella quale la nefasta
"complessità" non era ancora stata sdoganata da
intellettuali, pedagogisti, psicologi, preti inquieti, agitatori
politici e cercatori a vario titolo del pelo nell’uovo.
Una
società nella quale il principio autoritario era molto aiutato da
una percezione dell’ordine di facile applicazione, nella quale il
somaro era il somaro, l’operaio l’operaio e il dottore dottore.
Una società che non prevedeva don Milani, non Mario Lodi, non
Basaglia, ovviamente non il Sessantotto, e dunque, nella
ricostruzione molto ideologica che se ne fa oggi a destra, è
semplicemente caduta vittima di un agguato "comunista".In questo schemino, semplice ed efficace, la
cultura e la politica, a qualunque titolo, non sono visti come
interpreti dei conflitti, ma come provocatori degli stessi. Se la
pedagogia "permissiva" esiste, non è perché il disagio
di parecchi bambini o la legnosità e l’inadeguatezza delle
vecchia didattica richiedevano (già quarant’anni fa) di essere
individuati e affrontati, ma perché quello stesso problema è stato
"creato" da un ceto intellettuale e politico malevolmente
orientato alla distruzione della buona vecchia scuola di una volta.
Insomma, se la politica è diventata un format, come ha scritto
Edmondo Berselli, la sua parola d’ordine è semplificazione.
Per questa destra popolare, e per il vasto e
agguerrito blocco sociale che esprime, la complicazione è un vizio
"borghese" (da professori, da intellettualoidi, beninteso
da radical-chic, e poco conta che il personale scolastico sia tra i
più proletarizzati d’Italia) che non possiamo più permetterci, e
al quale abbiamo fatto malissimo a cedere.
Non solo la pedagogia, anche la psicologia, la sociologia, la psichiatria, nella vulgata oggi egemone, non rappresentano più uno strumento di analisi della realtà, quanto la volontà di disturbo di manipolatori, di rematori contro, di attizzatori di fuochi sociali che una bella secchiata d’acqua, come quella della maestra unica, può finalmente spegnere. La lettura quotidiana della stampa di destra —specialmente Libero, da questo punto di vista paradigma assoluto dell’opinione pubblica filo-governativa — dimostra che il trionfo del pensiero sbrigativo, per meglio affermarsi, necessita di un disprezzo uguale e contrario per il pensiero complicato, per la massa indistinta di filosofemi e sociologismi dei quali i nuovi italiani "liberi" si considerano vittime non più disponibili, per il latinorum castale di politici e intellettuali libreschi, barbogi causidici, che usano la cultura (e il ricatto della complessità) come un sonnifero per tenere a freno le fresche energie "popolari" di chi ne ha le scatole piene dei dubbi, delle esitazioni, della lagna sociale sugli immigrati e gli zingari, sui bambini in difficoltà, su chiunque attardi e appesantisca il quotidiano disbrigo delle dure faccende quotidiane. Già troppo dure, in sé, per potersi permettere le "menate" della sinistra sull’accoglienza o il tempo pieno o i diritti dei gay o altre fesserie.
La sinistra ha molto di che riflettere: la formazione culturale e perfino esistenziale del suo personale umano (elettorato compreso) è avvenuta nel culto quasi sacrale della complessità del mondo e della società, con la cultura eletta a strumento insostituibile di comprensione anche a rischio di complicare la complicazione... Ma non c’è dubbio che. tra il rispetto della complessità e il narcisismo dello smarrimento, il passo è così breve che è stato ampiamente fatto: nessuna legge obbliga un intellettuale o un politico a innamorarsi dell’analisi al punto di non rischiare mai una sintesi, né la semplificazione - in sé - è una bestemmia (al contrario: proprio da chi ha molto studiato e molto riflettuto, ci si aspetterebbe a volte una conclusione che sia "facile" non perché rozza o superficiale, ma perché intelligente e comprensibile).Ma la posta in gioco è molto più importante del solo destino della sinistra. La posta in gioco - semplificando, appunto - è il destino della cultura, degli strumenti critici che rischiano di diventare insopportabili impicci. Se questa destra continuerà a vincere, a parte il marketing non si vede quale delle discipline sociali possa sperare di riacquistare prestigio, e una diffusione non solo Castale o accademica.Perché è molto, molto più facile pensare che l’umanità e la Terra siano stati creati da Dio settemila anni fa (cosa della quale è convinta ad esempio la popolarissima Sarah Palin) piuttosto che perdere tempo e quattrini studiando i fossili e -l’evoluzione.
Molto più rassicurante, convincente, consolante pensare che le buone maestre di una volta, con l’ausilio del cinque in condotta e di una mitraglia di bocciature, possano mantenere l’ordine e "educare" meglio i bambini ipercinetici, e consumatori bulimici, che la televisione crea e che la propaganda di destra ora lascia intendere di poter distruggere, perché è meglio avere consumatori docili (clienti, come dice Pennac) piuttosto che cittadini irrequieti. E meglio avere certezze che problemi.E’ molto più semplice pensare che il mondo sia semplice, non fosse che per una circostanza incresciosa per tutti: che non io è. Il mondo è complicato, l’umanità pure, i bambini non parliamone neanche. Se le persone convinte di questo obbligatorio, salutare riconoscimento della complicazione non trovano la maniera di renderla "popolare", di spiegarla meglio, di proporne una credibile possibilità di governo, di discernimento dei principi, dei diritti, dei bisogni fondamentali, diciamo pure della democrazia, vedremo nei prossimi decenni un progressivo trionfo dei semplificatori insofferenti, dei Brunetta, delle Gelmini, delle Palin. Poi la realtà, come è ovvio, presenterà i suoi conti, sprofondando i semplificatori nella stessa melma in cui oggi si dibattono i poveri complicatori di minoranza. Nel frattempo, però, bisognerebbe darsi da fare, per sopravvivere con qualche dignità nell’Era della Semplificazione, limitandone il più possibile i danni, se non per noi per i nostri figli che rischiano di credere davvero, alla lunga, al mito reazionario dei bei tempi andati, quando la scuola sfornava Bravi Italiani, gli aerei volavano senza patemi, gli intellettuali non rompevano troppo le scatole e la cultura partiva dalla bella calligrafia e arrivava (in perfetto orario) alla più disciplinata delle rassegnazioni. Cioè al suo esatto contrario.