Il fascino discreto dell’incompetenza.
Elitismo.
Elitismo. Elitismo. Intanto bisogna cominciare a fare i conti con la
parola, e abituarsi. Elitismo. E una brutta parola, ma non lo è. E
un concetto politico e culturale, niente di cui vergognarsi.
Elitismo. Ripetetela a mente mentre vediamo perché è dilagata nel
dibattito politico americano, e perché bisognerebbe avere il
coraggio di discuterne anche da noi. E dilagata per via del successo
del suo contrario, che gli americani hanno chiamato antielitismo. L’antielitismo,
sommariamente, è quella ormai solida consuetudine per cui riteniamo
più adatte a moli di potere e gestione della cosa pubblica persone
che non ne abbiano competenze particolari o superiori alla media, ma
che invece siano cittadini "come gli altri". Persone
"normali", piuttosto che persone "speciali". Il
caso più eclatante, e che ha fatto traboccare il vaso della
pazienza di molti commentatori statunitensi, è quello di Sarah
Palin. Sarah Palin è andata fortissimo nelle prime settimane della
sua candidatura -ora un po’ meno, che il gioco si sta facendo duro
-, e di questo bisogna farsi una ragione, invece che sghignazzare
dei suoi inciampi e poi ride bene chi ride ultimo. Sarah Palin è
andata fortissimo per le ragioni per cui i repubblicani hanno deciso
d’investire su di lei, e che lei ha cavalcato dà~u1~ito: sono una
donna, sono una mamma, sono una come voi, vado a fare la spesa, vado
a caccia, e come voi non ho un pensiero raffinato o esperto sulle
cose del mondo. Ma se mi devo occupare della nuova guerra fredda,
beh, da casa mia si vede la Russia, nelle giornate limpide. So di
cosa parliamo.
Fa
ridere, già. Ma tutto questo non è niente di nuovo. Già di Bush
fu esaltata a suo tempo la sua capacità di "parlar
chiaro", e le mille gaffes di incompetenza elencate dai
suoi critici in questi anni non gli hanno fatto nemmeno il
solletico.La politica americana ha insomma capito che l’antielitismo
ha attecchito solidamente nei cuori degli elettori, e ha scelto di
seguirne la corrente, proficuamente: Bush è stato presidente per
otto anni, Sarah Palin alla fine porterà più voti di Joe Biden,
piaccia o no. Naturalmente è facilissimo trovare esempi simili di
successi politici anche da noi: a cominciare dal caso di Di Pietro,
del suo popolare modo di esprimersi e del suo trattore (che si
suppone essere l’esperienza che gli permette di occuparsi poi di
Alitalia). Per proseguire con tutto il repertorio umano campestre e
da bar della Lega, con il capitolo a parte del pappagallismo
berlusconiano, fino ad arrivare agli imbarazzanti tentativi di
imitazione di gente di tutt’altro rango: come quando Fassino andò
al programma di Maria De Filippi, "tra la gente". E vero
che la vicinanza al popolo è sempre stata nella tradizione della
sinistra italiana, ma una volta si esprimeva in forme più sincere e
meno goffe.
Come
ha potuto questa involuzione culturale e politica insediarsi così
radicalmente nelle nostre evolute democrazie? Senza che nessuno vi
si opponesse seriamente? Per una tautologica ragione: qualsiasi
obiezione all’antielitismo suona elitista, e quindi viene
rifiutata e offesa dai suoi stessi destinatari.
Vediamo quindi di capire l’elitismo. L’elitismo (elitismo,
elitismo, elitismo) è l’idea per cui rispetto a determinate
questioni, moli, bisogni comuni, esistano delle "élites"
di persone esperte, competenti, capaci, che saranno più adeguate ad
affrontarli. Le cui opinioni e azioni saranno più importanti e
proficue di quelle di altri. L’antielitismo non nega questo, ma ha
un approccio diverso: non è la capacità di affrontare determinati
problemi a suggerire la scelta di un candidato, ma la fiducia che
questo candidato trasmette a chi lo sceglie grazie al suo essergli
"familiare", diciamo. Uno di noi. I commentatori americani
in questi giorni hanno fatto spesso l’esempio della scelta di un
chirurgo o di un avvocato: li vorremmo seri, ricchi di titoli ed
esperienza a costo di essere persone che ci mettono in soggezione,
oppure simpatici conversatori, che incontriamo al supermercato o
davanti a scuola ad aspettare i bambini, con curriculum meno solidi?
Il problema dell’elitismo è che se i criteri per la scelta delle
élites non sono questi, ma si trasformano in traffici e
favoritismi, in nepotismi, in corporativismi fossili, le cose
peggiorano insopportabiImente. Ed è dal rifiuto di questo tipo di
elitismo - che tanta parte ha avuto nella storia delle democrazie
occidentali e più che mai in quella italiana - che è nato per
reazione l’antielitismo attuale. Per fame disperata di fiducia,
dopo decenni di inganni e tradimenti.
La
politica italiana non vanta da tempo buoni esempi di élites capaci
e illuminate, capaci di ottenere fiducia sulla base delle proprie
qualità rispetto al loro ruolo.
E anche per questo, oltre che per l’imbarazzo a pronunciare la
parola (elitismo, elitismo, elitismo), che non è finora esistita da
noi quasi nessuna reazione elitista. Per demagogia, per paura dell’accusa
di elitismo. Le élites italiane non hanno prime pietre da
scagliare. E quindi si nascondono, o finiscono per seguire
demagogicamente la corrente elitista. E le nostre società si
trasformano da democrazie in demagogie.
O anche semplicemente per farsi adulare e apprezzare, bassa demagogia, trionfo delle vanità immediate. Nessuno vuole essere ricordato più. Ammirato subito. Ecco cosa è cambiato, in Italia. Era una democrazia, è diventata rapidamente una demagogia. Di conseguenza, i leader politici eletti non sono più persone "migliori di noi" (e votate per questo), ma uguali a noi (facendosene un vanto), e anche peggiori di noi (per il nostro compiacimento). E se un tempo desiderare il male altrui era sanzionato da un sistema di valori trasmesso dalla cultura nazionale, oggi alcuni dei pensatori e leader di riferimento persino li promuovono, l’egoismo e il desiderio del male altrui. La mediocrità. Questo abbiamo ottenuto in cambio, scegliendo persone "come noi": il nostro peggio