John R. McNeill

storia dell'ambiente nel XX secolo 

Forse John R. McNeill, storico americano in forze alla Georgetown University, ha ragione. Forse il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle, il XX dell’era cristiana, nel futuro più o meno remoto non sarà ricordato tanto come il secolo delle grandi guerre mondiali, dell’ascesa e della caduta del comunismo, dell’orrore nazista, della leadership americana, della decolonizzazione e delle lotte per l’emancipazione della donna, dell’alfabetizzazione di massa, della televisione, del computer e della conquista dello spazio Ma sarà ricordato soprattutto come il secolo in cui l’uomo è diventato un attore ecologico globale. Capace di influire su grandi sistemi biogeochimici della biosfera. Capace di trasformare la crosta terrestre. Di modificare (un poco) la composizione chimica dell’atmosfera e i grandi cicli del carbonio, del metano, degli ossido d’azoto.- Di intervenire nel grande ciclo dell’acqua. Di accelerare così tanto l’erosione della biodiversità da (co)determinare quella che, a molti esperti, appare come la sesta grande estinzione di massa nella storia della vita animale sul pianeta Terra.
Forse John R. McNeill ha ragione. Le grandi utopie, le grandi conquiste e i grandi lutti del ‘900 avranno molta meno influenza sulle vicende umane dei prossimi secoli e dei prossimi millenni dell’impronta che, sempre nel ‘900, l’uomo è riuscito ad imprimere sull’ambiente che lo circonda.
John R. McNeill ci propone questa sua originale (l’aggettivo è di Eric Hobsbawm) lettura del ‘900 in un libro: Qualcosa di nuovo sotto il sole (Einaudi, pagg. 487, euro 30,00). In un prologo e dodici capitoli, lo storico americano ripercorre la natura del cambiamento prodotto dall’uomo e ne individua i motori. Pagina dopo pagina, McNeill ci descrive cosa di misurabile è cambiato sulla crosta terrestre, nell’atmosfera, nei mari a causa dell’uomo. E ci spiega perché: a causa della crescita della popolazione umana, di bibliche migrazioni, di inusitato aumento della capacità di consumo individuale e collettiva.

 Sono pagine documentatissime, di estremo interesse, perché riassumono le modalità di un cambiamento epocale.
Tuttavia il libro di John R. McNeill è importante soprattutto perché individua la profondità del cambiamento. Nel ‘900 l’uomo ha falsificato la tesi dell’antico autore dell’Ecclesiaste, convinto che mai nulla di nuovo accade nella ricorsiva storia del pianeta, e ha prodotto davvero "qualcosa di nuovo sotto il Sole". Il XX secolo dell’era cristiana è un secolo di svolta nella storia dell’uomo. E della biosfera.
Per apprezzare la svolta dobbiamo uscire dal tempo, angusto, della storia dell’umanità ed entrare nel tempo, profondo, dell’evoluzione biologica. Ovvero, del dinamico rapporto tra gli organismi viventi e l’ambiente che li ospita.
Ci sono prove che la vita sulla Terra è apparsa 3,6 miliardi di anni fa. E ci sono indizi che lasciano pensare che le forme più semplici di vita, gli archea e i batteri, vivessero sul nostro pianeta già 3,9 miliardi di anni fa. Nel corso di questo tempo profondo gli organismi viventi hanno certamente modificato l’ambiente terrestre. Quando, per esempio, i batteri si sono trovati a corto del loro nutriente principale, l’idrogeno, hanno imparato a estrarlo dall’acqua. Il sottoprodotto, indesiderato, della reazione è l’ossigeno molecolare: un veleno chimico così potente da reagire con ogni altra molecola che incontra. Così, mentre i batteri crescono e si moltiplicano con il nuovo nutriente trovato nell’ambiente, il loro rifiuto gassoso comincia ad avvolgere, come un fuoco, l’intero pianeta. Attacca i metalli disciolti negli oceani: trasformando il ferro, lo zolfo, l’uranio, il manganese in ematite, pirite, uranite, biossido di manganese. La Terra, letteralmente, arruginisce.
2,1 miliardi di anni fa tutto il ferro degli oceani è interamente precipitato. Non avendo null’altro da attaccare, l’ossigeno risale nell’atmosfera e inizia a legarsi con l’idrogeno, il monossido di carbonio, l’acido solfidrico. Quando sulla Terra non ci sono più molecole da ossidare, il rifiuto dei batteri comincia ad accumularsi in atmosfera. E in poco meno di 600 milioni di anni ne occupa un quinto del volume (i 21%, per la precisione). Facendo della Terra un assurdo chimico: nessun ambiente in equilibrio può sopportare la presenza massiccia di un gas così reattivo. Infatti non c’è nessun posto dell’universo conosciuto che contenga una simile proporzione di ossigeno.
Nessuno, anche sulla Terra, è attrezzato per resistere alla presenza dell’aggressiva molecola. La produzione di quel rifiuto si trasforma in una immane ecatombe: gran parte delle specie viventi, ancora monocellulari, scompaiono. Solo pochi batteri riescono ad adattarsi a quell’inquinatissimo ambiente: gli organismi che daranno inizio all’avventura della vita nell’era, bizzarra, dell’ossigeno. L’impresa riuscita in circa un miliardo di anni agli antenati dei cianobatteri, chiamati anche alghe verdi azzurre, non ha pari nella storia della vita sul pianeta Terra. Nessuno come quei minuscoli organismi è riuscita a modificare così profondamente l’ambiente globale.

 Ci sono, però, casi in cui modifiche catastrofiche dell’ambiente non dovute a cause biologiche producono profondi cambiamenti nel paesaggio biologico del pianeta. Nel Cambriano, per esempio, poco meno di 600 milioni di anni fa una modifica della morfologia della Terra consente alla vita animale di nascere e, immediatamente, diversificarsi in centinaia di migliaia di specie diverse. O, ancora, in tempi più recenti, 65 milioni di anni fa, l’impatto di un grosso meteorite con la Terra accelera la scomparsa dei dinosauri e l’affermazione dei mammiferi.
In definitiva, da sempre la vita e l’ambiente si modificano a vicenda e coevolvono lungo percorsi impredicibili a priori, ma ormai scientificamente spiegabili a posteriori. Questi percorsi sono puntauti: lunghi periodi di modificazione lente si alternano a brevi periodi di cambiamenti rapidissimi e catastrofici. I mutamenti repentini - le catastrofi - sono dovuti all’improvvisa comparsa, sulla scena planetaria, di attori ecologici globali. Ovvero di agenti, fisici o biologici, capaci di influenzare le dinamiche a larga scala della biosfera.
L’uomo è comparso sulla Terra molto tardi. Appena 4 o 5 milioni di anni fa. La specie Uomo sapiens, la nostra specie, è apparsa appena 200.000 anni fa. Per tutto questo tempo (peraltro brevissimo nella scala dei tempi biologici) nessuna specie umana si è mai avvicinata ad assumere il ruolo di attore ecologico globale. Homo erectus, circa 2 milioni di anni fa e, poi, Homo sapiens, circa centomila anni fa, sono partiti dall’Africa e si sono diffusi in tutto il pianeta. Come solo poche specie viventi sono riuscite a fare. L’uomo ha una straordinaria capacità di adattarsi ad ambienti molto diversi. Tuttavia mai questa sua pervasività si è trasformata in azione ecologica globale.
Forse il tentativo più serio lo ha realizzato nel neolitico, circa 8.000 anni fa, quando ha cessato di vivere da nomade e ha iniziato a coltivare la terra. E a modificare il paesaggio. Tuttavia per quanto potente e diffusa, l’azione dell’uomo agricoltore non ha inciso più di tanto sugli equilibri ecologici globali.
Bisogna attendere un nuovo modo di produzione, quello industriale, e il secolo XX, secondo il calendario cristiano, perché l’uomo si affacci sulla scena planetaria e diventi un attore ecologico globale.
Certo la parte che l’uomo recita è piuttosto piccola. A differenza dei cianobatteri del Precambriano, l’uomo non riesce a modificare la macrocomposizione chimica dell’atmosfera. E a differenza del meteorite del Cretaceo non riesce a modificare la macrostruttura della biodiversità.
Tuttavia, per quanto sia ancora una comparsa nel ‘900 l’uomo ha acquisito la capacità di modificare la microcomposizione chimica dell’atmosfera e la micro struttura della biodiversità. Ce n’è abbastanza, nel primo caso, per determinare un aumento della temperatura media del pianeta. E nel secondo caso per determinare la scomparsa di specie viventi a una velocità raramente sperimentata prima nella storia della vita.
Il nuovo attore ecologico globale ha due possibilità davanti a sé. Continuare la sua recita aspirando a parti sempre più importanti. E in questo caso il ‘900 diventerà il secolo in cui è iniziato una nuova e profonda accelerazione nel rapporto coevolutivo tra le specie biologiche e l’ambiente. L’altra possibilità è quella di uscire di scena e rinunciare alla parte di attore ecologico globale. Nel qual caso il ‘900 diventerà null’altro che una piccola fluttuazione rapidamente assorbita nel tempo profondo della dinamica del vivente.
Resta, però, la grande novità. Per la prima volta un attore ecologico globale ha la possibilità di scegliere quale ruolo recitare. Per la prima volta i cambiamenti planetari non sono affidati interamente al gioco del caso e della necessità, ma, sia pure in minima parte, sono affidati a un’assunzione di responsabilità. E’ questo il messaggio che ci lancia John R. McNeill rivisitando, con approccio originale, la storia del XX secolo. Riusciremo a fare tesoro della nostra piccola, ma significativa diversità?

Pietro Greco