MC5 

Posted on January 24th, 2008 by Metamorphosis Design

Gli MC5 nacquero a Detroit nel 1964 come diretta emanazione delle White Panther di John Sinclair ("il rock and roll e` la grande forza liberatrice della nostra epoca"). Suonarono ai raduni rivoluzionari della comune Trans Love Energies e perfino nel bel mezzo dei disordini di Chicago. Rappresentavano il ceto degli operai bianchi immigrati dal Sud e degli studenti beatnik che gravitavano attorno alla Mayne State Univeristy. Il loro rock "rivoluzionario" era basato sulla violenza sfrenata degli strumenti e su una potente amplificazione. Le loro esibizioni erano orgasmi collettivi, ubriacature selvagge, valanghe di suono scaricate alla rinfusa sul pubblico, traboccanti di oscenita` e slogan. 

Tra le tante band che, nel corso degli anni, sono diventate delle vere e proprie leggende, gli MC5 hanno, senza dubbio, un posto d'onore. Il loro messaggio rivoluzionario, estremamente influenzato dal leader del White Panther Party, John Sinclair, entrò in rotta di collisione con l'ideologia fin troppo accomodante della cultura "hippie", lontana mille miglia dagli assordanti baccanali proposti dalla band di Detroit. La storia racconta che nel 1964, a Lincoln Park, nello stato del Michigan, si formarono i Motor City Five, la cui line-up era costituita dal cantante Rob Tyner, dai chitarristi Fred "Sonic" Smith (futuro marito di Patti Smith ) e Wayne Kramer, dal bassista Pat Burrows e dal batterista Bob Gaspar. Giusto il tempo di qualche concerto, ed ecco i primi esperimenti di Smith e Kramer con distorsioni e feedback, roba che faceva venire il mal di testa a Burrows e a Gaspar, tanto da indurli ad abbandonare. Come sostituti, arrivarono il batterista Dennis Thompson e il bassista Michael Davis.

Durante tutto il 1966, la band raccolse un nutrito seguito nell'ambito della scena locale, grazie anche a una costante presenza live al Grande Ballroom. Immediatamente, i nostri attirarono l'attenzione di John Sinclair, un insegnante di Inglese, che, tra l'altro, era anche leader delle Pantere Nere, un partito dalle forti tinte rivoluzionarie che predicava l' "assalto totale alla cultura con ogni mezzo necessario, incluso il rock & roll, la droga, e il sesso nelle strade". Diventato manager della band, Sinclair seguì la lavorazione del loro primo singolo, "I Can Only Give You Everything", che raccolse buoni consensi.

Dopo la partecipazione allo "Yippies' Festival Of Life" di Chigago, venne firmato un contratto con la Elektra, preludio alla pubblicazione del loro primo album. Registrato dal vivo al Grande Ballroom tra il 30 ed il 31 ottobre del 1968, Kick Out The Jams è uno degli esordi più devastanti e fulminanti di sempre, vera pietra miliare del rock più duro e oltraggioso. La Elektra ebbe il suo gran da fare per distribuire l'album, a causa delle liriche esplicite di Tyner.

L'idea di registrare l'album dal vivo fu di Sinclair, convinto che solo così si potesse catturare lo spirito autentico degli MC5. Ed, infatti, quella notte di Halloween, c'erano tutte le premesse perché la band di Detroit entrasse direttamente nella leggenda. A salire per primi sul palco, furono gli Stooges di Iggy Pop. L'aria era quasi irrespirabile, con tutto quell'aroma soporifero di incenso e marjuana. Il set di Iggy & c. fu, come al solito, eccezionale: punk-ante litteram come non se ne è visto mai. Le luci stroboscopiche scivolano insidiose sul volto degli spettatori: il Grande Ballroom appare come una bolgia di grida e di silenzi irreparabili. Ad infiammare ulteriormente il pubblico, ci pensò una violenta arringa di J.C. Crawford, "Brother" e "Spritual Advisor" della band: "I wanna hear some revolution out there, brothers. I wanna hear a little revolution".

Certo, oggi il suo messaggio può apparire datato, ma quella sera sembrava che davvero la rivoluzione fosse prossima ad abbattersi sugli States, facendo piazza pulita di tutto il loro bagaglio di idiozie criminali. E la violenza e la rabbia con la quale si apre "Ramblin' Rose", con quel falsetto di Tyner che cavalca in maniera egregia il caos organizzato da Kramer, da Smith e da tutto il resto della combriccola, è la rabbia, violenta e smisurata, di tutti i presenti al grande evento, e, di riflesso, di una intera generazione stanca di soprusi e di politici da strapazzo. Giusto qualche attimo di pausa, ed ecco giungere uno dei momenti essenziali della storia del rock, quello in cui Tyner grida, senza esitazione, "Kick out the jams, motherfuckers!". Quello che segue è uno dei brani più epilettici di sempre, con la batteria rutilante e pestona, le mitragliate incendiare delle sei corde, e il basso che, mentre sembra sommerso dal rumore assordante, lancia barlumi minacciosi e veementi. Quanto di più iconoclasta l'America puritana poteva aspettarsi!

Senza prendere respiro, la corazzata MC5 dilania ulteriormente la sotterranea vena blues in "Come Together", marciume sonico che precipita periodicamente in abissi di rumore e di deliri dionisiaci. C'è un clima di eccitazione febbrile nel pubblico che segue, stupefatto, questi moderni baccanali, queste apocalissi vertiginose di sesso, droga e rock & roll. E il concerto, allora, diventa un vero e proprio happening, dove tutti si sentono protagonisti, perché tutti hanno un ruolo: quello di essere qui e ora.

"Rocket Reducer No. 62" continua a macinare feedback e distorsioni, e sembra di vederle quelle torri di amplificatori che tremano, quasi impaurite di dover sopportare tanta violenza. Ma non c'è spazio per i tentennamenti, come sembra voler suggerire il punk sudicio e sfrenato di "Borderline", con scintille al napalm di chitarra. Un momento di distensione è rappresentato dal blues esuberante di "Motor City Is Burning", con Smith e Kramer intenti a disegnare sublimi triangolazioni di accordi velenosissimi. "I Want You Right Now" ha un passo solenne, con la ritmica abbandonata al suo destino, in mezzo a quelle chitarre furibonde e malsane.

Giusto il tempo di lasciare spazio alla voce, qui più sensuale che mai, di Tyner, ed ecco esplodere di nuovo il caos, senza compromessi. A questo punto, a dare il colpo di grazia ci pensa una incredibile rilettura della "Starship" di Sun Ra, profeta del jazz-cosmico. La progressione imperiosa lancia il rumore tra le stelle, lo lascia annegare tra buchi neri e galassie lontanissime. Il silenzio cosmico viene trafitto da bagliori impercettibili, da vocalizzi primordiali e da brandelli psichici. Tutto assume contorni oscuri, indefinibili. Lontane le sarabande assordanti e le distorsioni magmatiche, ecco apparire una voce che lancia messaggi da un punto disperso nell'universo. La platea è come ipnotizzata: ognuno è vicino all'altro, ma, dentro di se, lontanissimo da tutto e da tutti. La liberazione definitiva, il ritorno all'origine, a quel fruscio impalpabile che era la nostra curiosità per un mondo non ancora ridotto a pura immagine, è prossima. Questo è quanto il disastro strumentale che chiude Kick Out the Jams sembra prefigurare.

Irriducibili e ultra-politicizzati, gli MC5 sono un cancro da cui l'America non è mai riuscita a liberarsi. Dopo la pubblicazione dell'album, la band non riuscì a godersi il suo momento di gloria, dato che Sinclair venne arrestato per una losca storia di droga. Senza il loro manager, gli MC5 persero anche l'appoggio della Elektra. Poco male. L'Atlantic, infatti, era già pronta sulla porta di casa con un nuovo contratto. Ma senza Sinclair, la forza dirompente e l'impegno politico del primo album svanirono senza lasciare traccia.

Prodotto da Jon Landau, Back In the Usa fu pubblicato nel 1970, e vede la partecipazione anche di due tastieristi, Pete Kelly e Dan Jordan. Molti addetti ai lavori ritengono che sia questo "l'album definitivo del proto-punk". Difficile dirlo con certezza, però brani quali "Looking At You" e "Human Being Lawnmover" sembrano confermare quanto sopra.

Comunque, venuta meno l'urgenza espressiva e la volontà di sperimentare elevando il rumore a "poesia sonora", l'album non può che apparire, per forza di cose, inferiore al suo monumentale predecessore. Se "Tutti Frutti" e la title-track (poste una all'inizio e una alla fine dell'album) sono riletture possenti di brani di Little Richards e di Chuck Berry, gli anthem supersonici, che si susseguono uno dopo l'altro nella terra di mezzo, non fanno altro che scatenare un trambusto estenuante e minaccioso, privo, però, di quella capacità enormemente "creativa" che caratterizzava i brani del primo album. I fan si divisero in merito al nuovo approccio della band; molti, tra l'altro, mal sopportavano l'avvenuta "de-politicizzazione".

Nel 1971, dopo un anno di concerti in giro per gli States, fu la volta di High Times, loro terzo e ultimo album ufficiale, nonché quello più accessibile. La matrice hard-rock del lavoro precedente viene qui sovraccaricata da una strampalata vena rhythm & blues. Brani come "Sister Anne", "Skunk (Sonicly Speaking)" o "Baby Won't Ya", pur essendo di discreta fattura, non possono fare altro che confermare che il viaggio della band di Detroit è, purtroppo, giunto al capolinea. Non c'è che dire, però è stato un gran bel viaggio. E ora, "kick out the jams, motherfuckers!".    Video - Lookin' at You - live in 1970 

I primi singoli uscirono per piccole etichette locali, e verranno raccolti postumi su Babes In Arms (ROIR, 1983 - Danceteria, 1990). '66 Breakout (Total Energy, 1999) documenta le prime registrazioni del gruppo (compresa una Black To Comm di 17 minuti). I cinque membri del complesso, capitanati dal primo grande chitarrista heavy, Wayne Kramer, nonche' dalla sua degna spalla Fred Smith, e da un cantante pazzo e feroce come Rob Tyner, si tuffavano a capofitto nei riff elementari dei loro brani, vomitando urla (strumentali e vocali) a tutto spiano e a tutto volume, forti del loro credo musical-politico: "fratelli e sorelle, voglio che ciascuno di voi faccia rumore... voglio sentire la rivoluzione!". Tutt'altro che incompetenti, erano in realta` consci dell'altra rivoluzione, quella apportata alla musica occidentale dal free-jazz di Coltrane e Coleman. La loro influenza maggiore era pero` Chuck Berry, seguito da Tamla Motown, mentre le parentele con altri gruppi "heavy" della stagione psichedelica, come Blue Cheer , e con altri gruppi politicizzati, come i Fugs , erano casuali. 

 

Kick Out The Jams (Elektra, 1969) e` uno degli album piu` importanti, influenti e creativi della musica rock, benche' fosse nato come prodotto anti-artistico e volutamente mal suonato. Registrato dal vivo alla fine dell'anno, e` effettivamente un grottesco bailamme di atrocita` e primitivismo musicali, ma anche un formidabile esempio di potenza devastante e di musica del cuore. Pochi complessi possono vantare un commando d'assalto di brani atomici come Kick Out The Jams, Come Together, Rocket Reducer N. 62, I Want You Right Now. La matrice blues viene disintegrata dall'energia dirompente in un esagitato sabbah d suoni abominevoli. Una percussivita` sfrenata crea tensioni spasmodiche che poi esplodono fragorosamente in caotiche sarrabande strumentali. Gli assoli barocchi delle suite psichedeliche sono stati annientati dalla furia devastatrice dell'improvvisazione collettiva.

 
A tante incitazioni alla violenza si mescolano pero` anche digressioni di ordine metafisico, quando si professa la fede in una religione cosmica che raccoglie in se` il significato di tutte le rivoluzioni. Cosi` l'album si conclude con una spaventosa versione di Starship (Sun Ra), spasmodicamente tesa verso l'infinito, un delirio schizofrenico di otto minuti, un'orgia allucinante di esplosioni galattiche, di cantilene paranoiche, di sibili, di voci sperdute, di silenzi assordanti, di follia cosmica. 

I cinque membri del complesso, capitanati dal primo grande chitarrista heavy, Wayne Kramer, nonche' dalla sua degna spalla Fred Smith, e da un cantante pazzo e feroce come Rob Tyner, si tuffavano a capofitto nei riff elementari dei loro brani, vomitando urla (strumentali e vocali) a tutto spiano e a tutto volume, forti del loro credo musical-politico: "fratelli e sorelle, voglio che ciascuno di voi faccia rumore... voglio sentire la rivoluzione!". Tutt'altro che incompetenti, erano in realta` consci dell'altra rivoluzione, quella apportata alla musica occidentale dal free-jazz di Coltrane e Coleman. La loro influenza maggiore era pero` Chuck Berry, seguito da Tamla Motown, mentre le parentele con altri gruppi "heavy" della stagione psichedelica, come Blue Cheer, e con altri gruppi politicizzati, come i Fugs, erano casuali.

Altre dieci epilessi sonore sfrecciano su Back In The USA (Atlantic, 1970). Questa volta c'e` meno sperimentazione. Le canzoni oscillano fra gli inni depravati degli Stones e le distorsioni continuate dei psichedelici, alcune abbastanza sferzanti da costituire un degno corollario al rock apocalittico del primo disco, Looking At You in particolare. Ma soprattutto gli MC5 si scoprono parenti stretti, loro che sventolavano mitra e bombe a mano, del Mersey-beat piu` naive e anthemico (Teenage Lust, High School, Call Me Animal). 
Coinvolti nella generale crisi del Movement, dopo High Time (Atlantic, 1971), un album di bizzarro rhythm and blues (fiati, coro, banda della Salvation Army, Sister Anne), gli MC5 si sciolsero, chi finendo in carcere (Sinclair nel 1969, per detenzione di stupefacenti, Kramer nel 1976 per una brutta storia di droga e di mafia), chi dandosi al giornalismo, chi ingrossando le fila dei reduci del Movement (John Sinclair dirigendo un centro jazz, Wayne Kramer sbarcando il lunario in i match "combinati" contro Ted Nugent ). Fred Smith sposera` la diva punk Patti Smith e morira` nel 1994 di attacco cardiaco. 


The Big Bang (Rhino, 1999) e` un'ottima antologia dei tre dischi e dei primi singoli. Dopo la riscoperta del gruppo, verranno pubblicati dischi a valanga di inediti e live. 
Wayne Kramer suono` brevemente con Johnny Thunders  e scrisse un musical con Mick Farren dei Deviants , Who Shot You Dutch (Spectre, 1987), una collaborazione continuata su Death Tongue (Curio, 1991). Wayne Kramer venne resuscitato negli anni '90 da The Hard Stuff (Epitaph, 1995), album zoppicante che pure annovera canzoni esistenziali come Edge Of The Switchblade, Hope For Sale, Crack In The Universe, Realm Of The Pirate Kings e Sharkskin Suit. I Clawhammer lo accompagnarono sul successivo Dangerous Madness (Epitaph, 1996), ma il terrorista di Detroit era finito a suonare un rock and roll melodico piu` adatto forse a un dominatore delle classifiche di vendita (spesso vengono in mente Bob Seger e John Mellencamp) che al suo passato (Rats Of Illusion). Entrambi i dischi sono ulteriormente sabotati da spoken-work pieces che servono soltanto a dimostrare come Kramer fosse piu` che un semplice portavoce per Sinclair.

  

discografia


Kick Out The Jams , 8.5/10
Back In The USA , 7/10
High Time , 6/10
Wayne Kramer: The Hard Stuff , 6/10
Wayne Kramer: Dangerous Madness , 5/10
Wayne Kramer: Citizen Wayne  4/10